La spedizione ha il gusto dell’epicità, quella che viene di solito incisa nella pietra a imperitura memoria. Di nuovo tutti insieme, di nuovo sul fiume, di nuovo a pescare, ridere e scherzare. L’occasione è importante – anche se purtroppo non possiamo ancora raccontare nulla – ma il tempo non gioca dalla nostra: il meteo è avverso e le ore in pesca poche.
A metà mattinata infatti impegni e lavoro metteranno fine a una jam session di lanci e recuperi così ben concertati che nessuno di noi si capacita della tremenda verità, i pesci non rispondono.
Ok, l’acqua è fredda.
Ok, abbiamo dormito poco.
Ok, abbiamo libato troppo.
Ok, il tempo non è dei migliori.
In realtà l’acqua è gelida, siamo a pezzi, siamo postumatissimi e il tempo è una tragedia.
Ma siamo lì a respirare l’umido e vogliamo crederci, anche se l’alcool che ci ha fatto abbondantemente traspirare durante le poche ore di sonno ha un vago effetto rallentante, specie nei momenti decisionali. Quindi dopo aver salutato Franco e Francis, fra dubbi enormi scegliamo un tratto nel quale non andavamo da secoli. La bellezza del fiume ci infonde una nuova e poderosa credenza che ahimè, si infrange quando, con tempismo invidiabile, arriviamo alle pozze più profonde e promettenti insieme a una carovana di kayaker e rafter. Tutto a monte mentre segretamente speriamo che una piena li trascini a valle.
Ci presentiamo all’appuntamento con lo spezzatino di capriolo ancora poco sicuri di cosa combinare nel pomeriggio. A peggiorare le cose, una voce continua a ripeterci che oggi, pescare, è inutile. Non è il flusso di coscienza che ci scorre dentro, ma Savino che ce lo ripete appena può. Lo sappiamo. Ha ragione.
La svolta potrebbe essere risalire un affluentino. Giusto il tempo di parcheggiare e stiamo risalendo i sassi come non facevamo da tempo. Le canne sovradimensionate e gli artificiali adeguati, pochi.
I primi lanci non tengono conto del nuovo teatro, i primi movimenti sono esagerati, i primi ingressi ineleganti. Ma i qualche lampo argentato si mostra sotto il pelo dell’acqua e anche se quelle trote non perdonano nulla, riusciamo a fotografare quelle piccole saette prima di farle tornare tra i sassi. Saliamo alternandoci nei lanci a monte.
Le pozze si susseguono una dopo l’altra mentre le correntine le riempiono. Piccole ombre seguono i nostri rotanti e altre scappano per un passo falso o una postura sbagliata. È come trovare un vecchio gioco. E mentre saliamo, abbiamo già deciso di tornare attrezzati a dovere con cannette corte e 0,18 in bobina per recuperare le emozioni del ritorno alle origini.