I compagni di pesca, di Raul Montanari

I lettori della rivista “Pescare in Valtellina” hanno potuto apprezzare questo articolo nel gennaio 2018, prima del Covid e di tante altre cose. Noi di Anonima Cucchiaino colpevolmente ce ne siamo accorti tardi, ma abbiamo deciso di recuperare, per il vostro e il nostro bene. Nel testo, ironico e profondo come il suo autore, l’amico Raul Montanari, pescatore e scrittore, tratteggia tredici tipi di approccio al fiume: dal “nostalgico” al “poeta”, passando per “il mitomane” e “l’iracondo”. Tredici figure che per scaramanzia mai potrebbero sedere insieme a tavola, ma che potrebbero invece trovarsi a contendersi la stessa buca. Con grande scorno del “solitario”. Ringraziamo Raul, Valeria D’Ambrosio, che ha rivisto il testo originale, e Marco Corengia, giornalista, appassionato pescatore e direttore di “Pescare in Valtellina”, pubblicazione dell’Unione pesca sportiva Sondrio, che ci ha consentito di ospitare queste preziose righe sul nostro blog. Buona lettura!


NOTA DELL’AUTORE, RAUL MONTANARI. Se vi riconoscete in una di queste tipologie, mi fa piacere. Se scoprite qualcosa di voi stessi in più di una, vi prego di considerarlo normale. Se addirittura vi sembra di appartenere a tutte, non preoccupatevi: è l’impressione che ho avuto anch’io mentre scrivevo il pezzo!

Il nostalgico vive in preda all’amarezza, nel ricordo indelebile e instancabilmente riproposto di un’Età dell’Oro dei fiumi che coincide con la sua giovinezza, quando branchi di temoli fitti come aringhe luccicavano fra le correnti e trote lunghe più di un braccio scivolavano fra i massi sotto un cielo oscurato dalle effimere e dalle friganee, prima che la Decadenza arrivasse a immiserire tutto e ridurci allo stato attuale. Non c’è verso di intaccare questa sua convinzione, anche perché in fondo sospettate che un po’ abbia ragione… soltanto, vi piacerebbe che questo discorso non saltasse fuori ogni santa volta che si tenta anche solo di parlare di pesca, e che una patina di tristezza e scoramento non si depositasse su canne e mulinelli prima ancora di infilarli nel baule dell’auto, mentre lui ripete che ormai è tutto uno schifo e che ai suoi tempi si prendevano pesci enormi anche con un pezzo di spago attaccato a un bastone.

Il mitomane, come suggerisce il nome, esagera, ma in tutto! Non si accontenta di moltiplicare per due o per tre, a volte per cinque o per dieci, il numero e la grandezza delle sue catture (d’altronde raramente le testimonia con fotografie, e in quei casi si procura un principio di lussazione alle spalle nello sforzo di tendere le braccia allo spasimo per spingere la preda lontano da sé e vicino all’obiettivo), ma ingigantisce ogni possibile evento che può movimentare un’uscita di pesca. A sentir lui rischia la vita una volta sì e l’altra pure a causa di inondazioni, crolli di alberi e di ponti, tempeste di fulmini, aggressioni di branchi di cani randagi, cinghiali, serpi, vagabondi di ogni etnia, ragni grossi come rospi e rospi grossi come iene. Se scorge sulla sponda una massaia di mezza età che cammina intenta ai fatti suoi, di ritorno dal supermercato, racconta agli amici che era una ragazza bellissima e seminuda, che gli ha lanciato sguardi e ammiccamenti come nemmeno Sharon Stone in Basic Instinct. Giuro di aver sentito con le mie orecchie, anni fa, un esponente di questa categoria raccontare di aver visto un’automobile scendere galleggiando sulla corrente di un fiume non più profondo di un metro (al centro e solo in certi tratti); la sua ipotesi più moderata era che a bordo, invisibili, ci fossero almeno due cadaveri di gente morta in uno scontro fra bande rivali o qualcosa del genere.

Lo scaramantico dimora in un mondo in cui il caso non esiste, per non parlare del talento o di altro, e tutto è regolato da rituali e formule magiche. Sul fiume mette in atto una serie di procedure intese a eludere la sfiga che incombe come una nube minacciosa sulla spedizione e a favorire il ripetersi di eventi passati memorabili: se per esempio dodici anni fa ha catturato una grossa marmorata sotto quell’albero, non solo ci riprova con la stessa esca e alla stessa ora, ma indossa lo stesso giubbotto, berretto e mutande, e pretende che i compagni di pesca si dispongano in acqua esattamente come quel giorno, rammaricandosi che l’Inter stasera giochi al Meazza contro la Lazio e non vada in trasferta a Firenze come quella volta là. Considera l’oroscopo più attendibile della matematica e se vi vede prendere più pesci di lui non si sogna nemmeno di guardare che finale usate o che esca avete sull’amo, ma spiega tutto con il fatto che quella mattina il portinaio gli ha augurato buona pesca. Sua moglie non lo fa ormai da trent’anni perché l’ultima volta lui ha cacciato urla tali che un vicino ha chiamato i carabinieri.

Il solitario sembra avere come scopo principale non quello di catturare pesci ma di evitare la compagnia dei suoi simili, e persegue questo fine con un’ostinazione e una sagacia molto maggiori di quelle che dedica a cercare di prendere qualcosa. Assai raramente va sul fiume con un amico, sempre quello, e i tentativi che negli anni l’amico ha fatto di introdurre altri è stato represso con ferocia. Sceglie le giornate da dedicare alla pesca facendo complessi e spesso insensati calcoli sulla probabilità di trovare altri pescatori (meglio i giorni feriali, meglio agosto che maggio perché la gente è sì in vacanza, ma con la famiglia…) ed è arrivato alla conclusione che la sera di Capodanno con una bufera di neve in corso sarebbe il momento ideale per precipitarsi sul fiume. Ogni qualvolta arriva sul greto, il semplice avvistamento di una piccola figura umana laggiù a cinquecento metri di distanza lo getta nello sconforto, e passa il resto del tempo a imprecare e cercare di capire se l’invasore si avvicina o si allontana, scrutando ansiosamente in quella direzione e disinteressandosi dell’azione di pesca.

Il compagnone, al contrario, ha in uggia la spedizione solitaria, al punto che se non è circondato da almeno sei o sette amici vocianti non gli sembra nemmeno di pescare. In realtà ormai da anni la pesca è per lui solo il pretesto per una scampagnata in allegra e virile compagnia, e il casino che fanno sul fiume lui e i suoi amici ha spesso, come esito, la stessa scarsità di catture che caratterizza il solitario nelle sue crisi d’ansia: due modi opposti per arrivare al medesimo risultato. Quando per caso si trova solo viene assalito dalla malinconia, dal pensiero dei grandi mali del mondo, dal ricordo di persone care defunte da anni, da uno struggimento esistenziale che gli toglie le forze e lo convince a fare fagotto il prima possibile e tornare a casa, nel popolosissimo condominio dove vive con la sua numerosa famiglia.

L’iracondo lo conosciamo bene: è quello che si arrabbia sempre, per tutto. Non esiste oggetto, persona, animale, fenomeno naturale, circostanza o avvenimento che non possa scatenare la sua furia. Prende a calci l’auto che non parte, impreca perché gli si rompe un laccio degli scarponi, sbrana il nylon che si è aggrovigliato, maledice i pesci che non abboccano, inveisce contro il sole se ce n’è troppo e contro la pioggia al primo cadere di rade, minuscole gocce. Perfino l’evento più gioioso della pesca, la cattura, lui lo condisce con bestemmie e improperi perché ha paura che la trota spacchi il finale o non riesce ad aprire quel dannato guadino a molla, per non parlare di quello che succede quando cerca di slamare il pesce e scopre che ha ingoiato o l’amo gli entra in un dito. Quando arriva l’ora di mettere via si imbestialisce perché proprio adesso avevano cominciato a mangiare, e durante il viaggio di ritorno agita i pugni contro le altre auto che intasano la strada. Lo salutate sulla porta di casa, tirando un sospiro di sollievo, e lui si congeda distrattamente frugandosi addosso, rabbuiato perché non trova più quelle cazzo di chiavi e di sicuro gli saranno cadute quando per colpa vostra ha messo il piede in quella maledetta buca e… ah, no, vabbè, eccole qui. Almeno le chiavi!

Il lamentoso-complottista vede dappertutto nel fiume tracce delle perverse macchinazioni di enti, associazioni, ditte appaltatrici, mafie, assessori incapaci o corrotti, governanti locali e nazionali degni della galera, su su fino agli infingardi scaldapoltrone comodamente piazzati a Bruxelles ad aspettare il vitalizio e legiferare sulla lunghezza dei piccioli delle albicocche. È straordinaria la rapidità con cui parte da qualsiasi inconveniente anche minuscolo e nel giro di due o tre passaggi al massimo arriva ad addebitarlo alle responsabilità dei supremi vertici dello Stato o della Comunità Europea (per le responsabilità di dirigenti o amministratori più vicini a lui gli basta un passaggio solo). In molte cose gli dareste anche ragione ma alla lunga preferite uscire a pesca con qualcun altro, perché lo tsunami di materia fecale che vi travolge ogni volta che parlate con lui è difficile da arginare e vi lascia di malumore per tutta la settimana.

Quello che parla solo di f*** rappresenta una tipologia diffusissima in ogni ambiente maschile. È vano sperare che anche per lui la pesca sia un’attività sublimante, una regressione all’età dell’innocenza capace di distrarlo per qualche ora dal suo pensiero dominante, come succede a voi. No, fin dal viaggio in auto lui non fa che mitragliare commenti su qualsiasi forma vagamente femminile si veda per la strada, intercalandoli con barzellette sconce che non fanno ridere nessuno. Se poi sul fiume c’è qualche ragazza che prende il sole o anche semplicemente donne di una certa età che portano a spasso il cane, la sua attenzione è rapita senza rimedio e vi annoia con fantasie, descrizioni, paragoni, tanto che vi viene voglia di ficcargli in bocca una trota per avere un po’ di requie. Al ritorno in città, mentre voi vi immalinconite vedendo cemento e semafori sostituirsi al verdeggiante Eden che vi siete lasciati alle spalle, lui si rallegra per il moltiplicarsi di gonne corte e jeans attillati, e vi distrae dalla guida additandovi questa o quella bellezza metropolitana, scrutandovi perplesso, perfino un po’ diffidente, se gli date l’impressione di non condividere il suo entusiasmo.

L’invadente è uno dei personaggi più temibili della nostra rassegna. La sua perniciosa influenza si constata già nel negozio di pesca, dove irrompe mentre state spiegando al negoziante che il mulinello che vi ha venduto ha qualcosa che non funziona, e comincia a frastornare tutti con il racconto dei suoi guai e di quello che ha detto in proposito il suo amico Gigi. Si infila nelle spedizioni di pesca, benché le abbiate preparate di nascosto mandando messaggi criptati solo ai vostri amici più intimi, e ve lo ritrovate in macchina anche se avete fatto di tutto per scongiurare questa evenienza. Sul fiume entra subito in acqua a grandi passi, desertificando tutto il sottosponda, e va a piazzarsi nei posti migliori; se per caso vi vede fare una cattura, nel giro di neanche un minuto ve lo ritrovate incollato addosso, naturalmente dalla parte del braccio con cui lanciate e sempre bendisposto a sguazzare sollevando spruzzi finché i pesci non siano emigrati ad almeno tre chilometri da lì. È perfettamente inutile che, al tramonto, vi affrettiate all’auto cercando di seminarlo e sbolognarlo a qualcun altro: arrivati al parcheggio lo vedete che gira intorno alla vostra macchina facendo commenti sprezzanti sul modello o sullo stato della carrozzeria, e appena aprite il baule lo occupa per intero con la sua attrezzatura. Poi va a stravaccarsi sul sedile di fianco al guidatore, imbratta il tappetino con gli scarponi infangati e per tutto il viaggio di ritorno sbraita al cellulare con interlocutori imprecisati.

Quello che sa lui i posti reclama a gran voce la leadership della spedizione e vi promette di portarvi in luoghi segreti, arcani, tramandati sotto giuramento di generazione in generazione e noti a lui solo, dove vi attendono catture meravigliose. Poi si scopre che ci sono lavori in alveo o che è cambiato tutto dall’ultima volta che ci è stato, nell’aprile dell’87; ma lui insiste e vi trascina lungo il fiume alla ricerca di vaghi punti di riferimento, si rammarica che dopo trent’anni quel certo tronco divelto da una piena nel dopoguerra non sia più in acqua, o che abbiano costruito la superstrada sulla spianata che un tempo, quando la televisione trasmetteva un solo canale in bianco e nero, era imballata di temoli. A un certo punto della giornata, quando ormai si è capito che affidargli il ruolo di guida è stato un errore fatale, questo identikit di pescatore tende a sfumare in altre tipologie, in particolare il Nostalgico e il Lamentoso-Complottista.

Il crapulone presenta alcune analogie con Quello che parla solo di f***: nel suo caso, lui non pensa affatto alla pesca ma solo a mangiare. Mentre voi progettate la spedizione, litigando sui posti e consultando Google Maps, lui vi interrompe più volte spiegandovi che nel tal paesino c’è una taverna dove ci si può fermare a gustare una celebre trippa al sugo; e se voi pregustate le grosse marmorate che si celano nella bucona sotto quel certo ponte, a lui luccicano gli occhi al pensiero del negozio di formaggi locali che si affaccia giusto sull’altra sponda. Durante il viaggio di andata vi stordisce con la descrizione di pasti pantagruelici consumati in remote locande austriache o slovene, e già verso le undici del mattino estrae dallo zaino – che vi sembrava in effetti gonfio in modo sospetto – giganteschi panini che distribuisce a tutti, spiegando che sua moglie si è svegliata alle cinque per preparare l’imbottitura a base di salamelle e borlotti in umido, destinati a piantarsi sul vostro stomaco e pesare come il tungsteno fino alla fine della giornata. È impossibile indugiare a pescare fino al tramonto inoltrato, noto momento magico, perché lui già da un’ora è lassù alla macchina e vi guarda con aria scontenta o addirittura vi chiama con voce indignata, gridando che se si parte troppo tardi la cucina del ristorante dove vuole portarvi chiude o diventa impossibile trovare da sedere. Il silenzio un po’ malinconico che spesso accompagna dolcemente i viaggi di ritorno in città è rotto ripetutamente dai suoi racconti di epiche mangiate e bevute; e quando lo lasciate finalmente a casa, sua moglie apre la porta e voi venite investiti da una folata di odore di brasato in grado di abbattere un uomo a una distanza di duecento metri.

Il capitano Achab concepisce solo la cattura di pesce grosso, anzi enorme. Qualunque esemplare non si avvicini ai limiti di accrescimento della specie (e preferibilmente li superi) viene da lui trattato alla stregua di un avannotto. Questa sua ossessione rovina qualsiasi conversazione sulla pesca: se state raccontando agli amici di una magnifica giornata, rilassante, divertente e coronata da numerose catture di taglia media, lui sbuffa e scuote la testa con spregio palese; se parlate bene di un posto, chiede subito se ci sono quelli grossi, pretendendo pesi e misure, e martella su questo tasto finché cala il silenzio; è poi temutissimo dai principianti, perché i loro racconti emozionati delle prime discrete catture, accolti da tutti con assensi e sorrisi di incoraggiamento, vengono invece stroncati da lui con risate sprezzanti e commenti tagliagambe. Di solito tiene un diario con i record che ha stabilito specie per specie e vi informa premurosamente sui propri progressi mandandovelo in allegato mail; se ha il sospetto che abbiate bloccato il suo indirizzo, apre un altro account e ve lo spedisce da quello, insistendo finché, esausti, non ammettete che è il più bravo pescatore che conoscete… anzi: il più grande!

Il poeta ha sì canna e licenza, perché pescava da ragazzo e per inerzia non ha mai smesso di pagare i bollettini, ma in realtà già da tempo non gliene importa più tanto: i suoi pensieri volano ben più alti. Alle spedizioni a cui continuate incautamente a invitarlo si unisce con affettuosa condiscendenza, come un adulto che accetta di giocare con dei bambini. Sul fiume si impegna solo all’inizio, poi comincia a contemplare gli uccelli, le nubi, l’acqua che scorre e che, come diceva Eraclito, non è mai la stessa (ha trovato questa citazione in un vecchio numero della “Settimana Enigmistica” e la ripete da decenni). Applaude sì le vostre catture e vi incoraggia con un sorriso bonario, ma intanto vi fa capire chiaramente che per lui insidiare creature squamose col cervello grosso come un cece è un’attività troppo prosaica. Verso metà pomeriggio, invariabilmente, sarà la stanchezza, sarà qualcos’altro ma arriva un’ora in cui cominciate a vergognarvi un po’ del vostro accanimento nell’insidiare trote e temoli sotto il suo sguardo svagato, e a sospettare che abbia ragione lui. Che la pesca sia davvero un gioco da bambini e che sarebbe tempo di crescere, ormai.

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