
C’era una volta un fiume, splendido e remoto. <Che occhi grandi che hai!>, <Per vedere meglio nel buio della notte nera>. <Che pinne grandi che hai!>, <Per nuotare nelle acque più veloci>. <E che testa grande, schiacciata e piena di denti aguzzi che hai…>, <Per afferrarti e sbranarti meglio eschina mia!>. E come ebbe detto queste parole, l’hucho hucho scartò nella corrente del fiume e ingoiò la povera Cappuccetto Ros… ingoiò il jointed minnow da 15 cm. Il pescatore alzò deciso la canna in una ferrata ruggente, buum buum, rispose il grande pesce strattonando la lenza dal fondo del fiume.

La pesca all’Hucho Hucho sembra sempre ammantata da un’atmosfera fiabesca, saranno gli ambienti meravigliosi in cui vive tra le montagne dei Balcani, saranno le sue abitudini di predatore puro, schivo, notturno, saranno anche le taglie vertiginose che raggiunge, veri colossi con le pinne, a volte quasi sproporzionati per la portata d’acqua in cui vivono.

Io questo salmonide l’ho incontrato la prima volta dieci anni fa, una notte d’estate tra la Bosnia e la Serbia. Viaggiando avevo incontrato dei pescatori e li avevo supplicati di portarmi con loro. Per ottenere questo privilegio promisi di non pescare, di essere silenzioso e riservato. In seguito mi fu chiaro che erano dei bracconieri, ma senza dubbio sapevano quello che facevano. Erano capaci di pescare, molto capaci. Passai la notte intera sul greto del fiume a vederli pescare, gli occhi abituati al buio, l’esca lenta sul pelo dell’acqua, il riflesso della luna nella lama, i contorni neri delle montagne, il bosco fitto alle spalle e le orecchie tese per sentire avvicinarsi un orso o una guardia… Parole bisbigliate, sorsi di slivoviza. E nel cuore della notte l’acqua esplose, la possente canna in piega, passi concitati nel fiume, schiuma, rumore e una mano che afferra una grande coda. Era 96 centimetri quel pesce meraviglioso che fu prontamente annoccato e appeso a un palo di legno. Si pescò fino all’alba e il giorno dopo lo mangiammo tutti in compagnia. <Gli hucho e le streghe esistono solo nelle fiabe>. <One thousand cast fish>. Questi motti del pescatore di hucho li sentii allora per la prima volta. Ero già deciso a dargli la caccia.

Li accompagnai ancora, mi spiegarono attrezzatura, esche a seconda delle portate e dei momenti, approccio al fiume, abitudini e ambienti del Salmone del Danubio. Mi insegnarono tanto. Quella stessa estate, giorni dopo, ero al tramonto in una gola sul fiume Tara, in Montenegro. Nella luce del crepuscolo vidi un pesce risalire la pozza in cui stavo pescando, era troppo grosso per essere una trota di quel torrente. Pochi minuti dopo al mio Rapala Magnum colore sardina avevo allamato il mio primo Hucho. Circa settanta centimetri, un pesciotto per la specie, ma un grande risultato per me!

L’inverno successivo fu leggenda per noi di Anonima Cucchiaino, lo abbiamo raccontato (Leggi qui. N.d.r.), una lunga e gelida spedizione invernale in Serbia. Durissima, la pesca all’hucho nella sua massima espressione: anelli sempre ghiacciati, neanche un segno di vita, non una tocca, milioni di lanci, di esche perse, di preghiere, sigarette fumate che si attaccano alle labbra, mani blu che stringono fiasche di grappa e ancora lanci su lanci, preghiere, tensione sogni e nulla. E alla fine arrivò lui, agli ultimi lanci, appena fu calato il buio sull’ultimo giorno di pesca: Hucho Hucho. Grande, bellissimo. Rilasciato.

Anni dopo sono tornato con altri amici, questa volta in Bosnia, pochi giorni, acque molto molto promettenti. (Leggi qui. N.d.r.) Il primo giorno una cattura per me, non un grande hucho ma un bel pesce, poi mille lanci, qualche grande emozione sfiorata e niente più. Ma erano già tre Hucho, in tre viaggi, in tre stati. Iniziai a desiderare il poker dei Balcani, mancava la Slovenia, la terra più vicina a noi.

Non ero mai andato a pescare gli Hucho in Slovenia per un’unica ragione: immissioni. L’hucho hucho per me è massima espressione di pesce selvatico, anche più della trota marmorata; ma in Slovenia molte persone mi hanno detto che sono immessi. Tutti sanno che immettono avannotti, e questo mi starebbe bene, ma altri dicono che immettono pesci adulti, grandi, bellissimi, ma “polli”. Sarà vero? Ancora non ho la risposta. Ma finalmente sono andato a pescare in Slovenia e ne sono terribilmente felice!
Questa che segue è la storia della caccia all’hucho hucho sloveno.

Natale è appena passato, lo stiamo ancora digerendo. Carichiamo la macchina con sei canne, stivali, casse di esche e vestiti. Siamo solo due pescatori: il mitico Fabio ed io. Staremo via tre giorni. Partiamo la mattina da Milano e maciniamo chilometri pieni di entusiasmo e di sogno, pranzo a Udine con amici pescatori e poi “facciamo un saltino da AZ Shop per prendere qualche esca in più…”

Usciamo dal negozio che è buio e i nostri conti in banca sono rosso sangue… Ma siamo entusiasti: consigli, fili, pile frontali, chiodi per gli stivali e tante, tante nuove esche.
A Bled, in Slovenia, ci sta aspettando Matej, alto magrissimo, volto affilato però solare e sincero, parla un italiano un po’ stravagante ma ci si capisce perfettamente ed è molto simpatico. Fabio lo conosce, ha già pescato qui tre volte. Compriamo da lui i permessi di pesca e qualche altra esca… già che ci siamo.

Cena spartana al lodge, dove solo la bellezza conturbante della ragazza che gestisce la casa prova a distrarci dai discorsi alieutici. In breve la stanza è un campo di battaglia: prepariamo le cassette delle esche per il mattino dopo… Andare a letto presto è difficile, siamo esaltati e non ci sentiamo mai abbastanza pronti. <Treccia da 60 libbre come i puri dell’hucho o magari con 40 libbre peschiamo meglio?>

<Finale dello 0.50 andrà bene?>
<Guarda questa ancoretta di pancia sarà troppo grande per questa swimbait?>
E così all’infinito. Poi qualche ora di sonno e scattiamo in piedi per il primo giorno di pesca.

Alla fine avremo approcci diversi; io userò una canna lunga, la Shimano Antares Monster da 285cm per casting Weight 100gr, mulinello Shimano Sustain 5000 bobinato raso di Sufix 40 Lbs, finale lungo in fluorocarbon 50lbs. Per le pesche lente preferisco canne lunghe e reattive per controllare l’esca e ferrare veloce, e diametri non troppo spessi, per tagliare meglio l’acqua, affondare prima e fare meno attrito nella corrente quindi essere più sensibile. Fabio preferisce sempre canne corte, più comode e pratiche, usa una intramontabile GLoomis Livebait da 2oz, mulinello Stella 5000FA e treccia potente da 65lbs.

Le esche per entrambi sono le stesse, le classiche da Hucho: grossi snodati galleggianti (jointed) dai 13 ai 18 cm, da usare soprattutto a buio o con poca luce, qualche minnow generoso da manovrare in corrente, poi molte esche piombate di spugna o di gomma da muovere lente sul fondo durante il giorno e qualche HuchenZopf per lo più per sondare i raschi di ghiaia e sabbia.

Dalle prime luci mi colpisce la bellezza del fiume, la Sava, e dei paesaggi intorno. Bucolici, montani ma senza asprezza, grandi prati sul piano, boschi sui pendii, neve sulle cime lontane e qua e là piccoli borghi di case aggraziate con un campanile in mezzo.
Forse sono un pescatore meno feroce di una volta, mi godo di più il momento al di là della smania per la cattura. Ma non sono meno concentrato.
La guida di oggi, un simpatico pescatore sloveno di poche parole e grande esperienza, ci porta in punti diversi della Sava Grande. A metà mattina siamo su una sponda erbosa sovrastata dagli alberi, si pesca a piede asciutto perché il fiume è profondo e veloce davanti a noi, ogni lancio va misurato con attenzione per non impigliare canna e filo tra rami e tronchi che ci circondando. Il sole filtra a fatica nell’acqua torbida.

Sto recuperando piano un grande pesce finto di gomma, armato con due ami singoli nella schiena. Dal filo alla canna al mio polso: mi sembra di sentire due tocchi delicati, due “musate”. Penso di avere un hucho dietro all’esca ma sto finendo il recupero, l’esca è quasi sotto i piedi, quindi alzo e abbasso la canna piano, così da far nuotare il mio inganno in alto e in basso e… una grossa sagoma scatta dal basso, vedo in un attimo la sua larga schiena grigio-verde sfrecciare e l’esca sparire… la canna si piega, ferro, la frizione del mulinello canta mentre il grosso pesce tira verso la corrente a centro fiume. <Fiiiisshhh!> urlo, sono certo sia un bell’Hucho Hucho! Emozionato lo contrasto, guadagno filo quando me lo permette, Fabio e la guida ora mi sono accanto e allo stesso istante lo vediamo: <Luccio!>

Incredibile, è un esocide! Sinceramente un po’ deluso lo avvicino alla sponda, Fabio guadina, misura, foto rilascio.
<Meglio un luccio che un cxxxx> diceva spesso Immanuel Kant.

Peschiamo ore senza più emozioni, salvo un goulash molto buono per pranzo, accompagnato da una improbabile cola locale, reminiscenza comunista.
Prima del tramonto siamo in una pool strepitosa, ci crediamo… peccato che invece il tramonto lo consumiamo in un tratto di basso fondo e acqua veloce. Si gela, letteralmente. Ultimi lanci nel primo buio e ritirata. Siamo scoraggiati e stanchi. Guidiamo verso la doccia calda e la cena e… flat, flat, flat… nel mezzo del nulla abbiamo una ruota a terra!
Come due esperti meccanici prendiamo il cric e ci apprestiamo al cambio con ruotino di scorta. Un dado via, due dadi via, quattro dadi e… bullone antifurto! Non abbiamo la chiave. Si ride e si panica… Matej al telefono ci salva, manda un “mister wolf” che risolve problemi: monta ruotino e porta via gomma per ripararla. Ormai è tardi, mangeremo un intero pandolce genovese di Fabio in camera, accasciati sui letti, passando in rassegna le esche e i finali ancora una volta, mentre i vestiti asciugano sui caloriferi.

Il secondo giorno a colazione incontriamo due pescatori a mosca di Milano… sono demoralizzati, non credono alle streghe e hanno deciso di mollare. Non hanno colto il fascino di questo pesce, non lo meritano, torneranno a pescare su obiettivi più facili.
Incontriamo Matej ben prima dell’alba. E’ buio quando siamo pronti al primo lancio sulle rive della Sava Bohinka. Siamo sotto zero ma gli animi sono roventi per la grinta che ci divora! Entriamo pianissimo nel fiume, un piccolo passo alla volta, senza onde, senza rumori. Fabio a monte ed io a valle, a distanza di un centinaio di metri. Scatta l’ora “X” e facciamo i primi lanci, poi ancora, il sole sale, la foschia si alza dall’acqua… Sento un’abboccata e ferro così forte da far volare fuori dall’acqua una povera trota iridea che aveva osato abboccare al mio rapala Jointed 13!
Poco dopo, più a valle, una cacciata mostruosa spacca le acque davanti a me, il cuore mi si ferma e riparte a cento all’ora: era un grosso hucho! Lancio, rilancio e nulla. Thè caldo e chiacchiere.

Matej è un grande motivatore, dote fondamentale per una guida di pesca al Salmone del Danubio. Ci porta a vedere degli hucho, un paio molto grossi, dall’alto di un ponte! Questo mi sorprende… In Serbia, in Montenegro, in Bosnia non li vedevo mai, era un pesce nascosto nella mente prima ancora che nel fiume. Qui li vedi! Sarà l’acqua trasparente della Sava Bohinka? Sarà che ce ne sono di più e ci sono più ponti? O sarà vero che li immettono? Resto con i dubbi, ma mi godo lo spettacolo e mi sale ancora di più la carica!

Peschiamo altre acque stupende, senza sosta, fiumi da sogno, prendiamo accidentalmente un paio di trote iridee. Il giorno, con sole e acqua limpida, è una scommessa che fai volentieri, ma che non pensi di poter vincere, è un prepararsi alla sera, a quella mezz’ora scarsa in cui il sole calerà e il grande salmonide uscirà in caccia. Forse questo è l’ultimo spot, il sole è basso… non abbocca nulla. Il fango ghiacciato cede sotto il mio peso, cado e picchio il ginocchio. Dolore, stanchezza. Matej suona la carica e offre sorsi di liquore alle erbe! Abbiamo ancora un posto da provare… dobbiamo muoverci. In questo tramonto riponiamo le più grandi speranze.
Arriviamo al ciglio della strada che sta facendo buio, canne smontate e movimenti lesti, sembriamo dei Marines, truppe d’assalto della pesca, ci lanciamo nel fitto del bosco, rami in faccia, scivoloni sulle foglie e giù fino al greto del fiume. Matej bisbiglia: < Fabio tu vai su alla buca sopra, Pietro tu qui. Iniziate a lanciare alle 5.10. Alle 5.25 fine dei lanci! In questo tratto… molti hucho! Se prendete gridate e accendete luce, io arrivo >.

Mi lasciano lì sulla riva scura e spariscono a monte oltre rocce e piante. Il fiume gorgoglia potente, lo studio. Sono in sponda orografica sinistra, proprio davanti a me la corrente si strozza in un piccolo salto, schiuma veloce e fragorosa per distendersi in una lama di circa 30 metri, la spina di corrente dal salto verso il fondo lama è sul mio lato, il sinistro, oltre invece acqua più calma si apre in larghezza di circa dieci metri. In fondo a questa lama imponente si erge un grande masso, alla sua destra acqua calma, alla sinistra la spina di corrente si stringe, accelera e corre via verso valle. Difficile dire la profondità, c’è davvero poca luce ormai, ma si intuisce che almeno un paio di metri a centro e fondo lama ci devono essere. Sono le 5, sono solo. La tentazione di iniziare a lanciare è enorme, ma mi trattengo, penso che sia più saggio aspettare il momento in cui i pesci entrino in caccia anziché disturbare l’acqua con i primi lanci. Penso anche che gli dei della pesca mi stanno osservando e non sarebbero felici di vedermi avido e impaziente. Mi godo il momento, mi concentro. Sul serio, mi concentro su attrezzatura, suoi limiti e potenzialità, mi concentro a immaginare moto dell’acqua, come si muoverà l’esca che ho scelto e quali lanci da fare. L’esca scelta è un vecchio crank jointed della Salmo da 15cm, da me colorato pancia arancio e schiena nera con qualche glitter argento, armato con VMC black 2x e split neri 85lbs. Fremo. Aspetto. Ore 5.10, inspiro, espiro, lancio.
Prima corto subito davanti a me, trattenuta in corrente, recupero. Poi lancio più in là verso valle e verso l’altra sponda, recupero piano nell’acqua calma, trattenuta in corrente, recupero. Lancio a orologio, senso antiorario. Il terzo lancio ancora un po’ più in là, verso valle e verso l’altra sponda. Il quarto lancio è il più lungo, nell’angolo opposto di fronte a me, imprimo due jerkate con movimento di polso per far affondare il crank, poi recupero lentissimo, a sentire appena le scodate dell’esca snodata, l’esca deve essere là lontano nel buio, davanti al grande masso, sento la corrente che la prende e smetto di girare la manovella, trattengo l’esca, il fiato.
Come il braccio di un gigante che dal fondo del fiume afferra l’inganno, si aggrappa alla lenza e tira con veemenza per trascinarti in acqua, così è arrivata la piega della canna, la forza che contrasto ferrando deciso prima e recuperando con decisione un istante dopo. La frizione del mulinello lascia filo imperterrita, veloce, qualunque cosa ci sia dall’altro capo del filo è aiutato dalla spina centrale di corrente, trenta metri più a valle, è inarrestabile, per come pompa e piega la canna potrebbe essere enorme. Resto lucido, canna alta, chiudo delicatamente la frizione, un giro alla volta fino a quello che credo essere il limite massimo del carico di rottura, piego la canna verso la mia sinistra, sperando di portare il pesce fuori dalla corrente, ci riesco, la trazione diminuisce e, un giro di manovella alla volta torno a guadagnare distanza. La misteriosa creatura pinnata è più vicina a rivelarsi, ma è ancora un equilibrio delicato. Non penso più sia enorme, adesso ne sento meglio peso e forza, ma è comunque un pesce di taglia più che rispettabile, taglia la corrente ancora una volta, una fuga lunga a centro lama, abbatto la canna a destra, aspetto rallenti, recupero ancora calmo ma deciso. Solo adesso grido <Fiiish> e accendo la luce frontale, nessuno deve avermi sentito, il fiume romba nella giovane notte, <Fiiiish!> urlo con tutto il mio fiato, ma ormai la lunga e possente sagoma argentata mi è davanti, alzo la canna, recupero ancora un poco e la abbatto sulla mia sinistra, tiro verso la riva, mi porto alle spalle del pesce, che ormai ha la testa tra le rocce della riva e, chinandomi sull’acqua, afferro saldamente la coda! Preso. Resto accovacciato nell’acqua, con le spalle rivolte al fiume e la mano destra a trattenere la coda. Apro l’archetto, con la sinistra prendo pinze e velocemente tolgo l’esca dalla bocca. Era di traverso, due ami dell’ancoretta di pancia leggermente aperti e schiacciati.

Lo osservo, è un pesce bellissimo! Arriva Matej di corsa, è felice quanto me. Facciamo qualche foto e lo rilasciamo, parte come un razzo, la sua codata mi spruzza acqua gelida in faccia. Rido, sono profondamente felice. Matej apre un Ballantines che teneva per l’occasione e brindiamo! Decido di fare ancora gli ultimi tre lanci, per rito. Smonto la canna, arriva Fabio, ci abbracciamo: è una cattura del team, della squadra! Abbiamo fatto tutto bene. Abbiamo vissuto momenti memorabili, degni di essere vissuti.

La notte si ripete il rito, esche preparate meticolosamente, nuovi finali, vestiti sul calorifero, poche ore di sonno.
Il terzo ed ultimo giorno è fatto di noi due a pesca da soli, senza guida, nel tratto del Sava Institute, è fatto di diversi grandi e piccoli hucho avvistati, di milioni di lanci, di sole e paesaggi bellissimi, di un cambio gomme alla macchina, di mille risate, passeggiata e pranzo in riva al meraviglioso lago di Bled, poi ancora mille mila lanci e un tramonto pianificato meticolosamente dove abbiamo visto pesci da sogno… un tramonto in cui ci abbiamo creduto tantissimo e abbiamo alternato un lancio a testa. Poi il buio e cinque ore di chiacchiere in auto fino a casa. Penso a quanto sono molto fiero del mio poker dei Balcani, quattro viaggi, quattro hucho, quattro stati. Adesso forse voglio pescarlo in Croazia o in Austria? O dare la caccia a un vero “big” della specie? O forse, semplicemente, voglio tornare a pescare e basta. Vada come vada, sia dove sia. Possibilmente in posti bellissimi come la Slovenia, con amici come Fabio, sognando pesci da fiaba come l’Hucho.

Erano contenti tutti e tre: il cacciatore prese la pelle del lupo, la nonna mangiò la focaccia e bevve il vino che le aveva portato Cappuccetto Rosso; e Cappuccetto Rosso pensava fra sé: “Mai più correrai sola nel bosco, lontano dal sentiero, quando la mamma te lo ha proibito.”
Rock’n’Rod
(Per scoprire di più sul Fauna Flyfishing Lodge di Bled, clicca qui ).
Complimenti, ma quanta confusione nello scrivere i nomi. In nomenclatura binomia il genere va con l’iniziale maiuscola e la specie in minuscolo. Così si scrive: Hucho hucho. Essendo poi latino, va impostato il corsivo.
Opsss… grazie mille del commento!
Bellissimo racconto, trasmette perfettamente la passione che avete per questo leggendario predatore. Ho sentito anch’io dire che gli Hucho vengono immessi adulti in Slovenia e a dirla tutta catturare il pesce dei miei sogni, per poi scoprire che 1 mese prima nuotava in una vasca, sarebbe veramente demoralizzante. Spero che in futuro le associazioni siano più trasparenti su questo aspetto, intanto ragazzi non mi resta che ringraziarvi per le vostre storie, che sicuramente hanno aiutato e aiuteranno molti pescatori in questo difficile momento. Buona giornata.
Grazie a te Luca!
Davvero, fa molto piacere sapere che i nostri racconti piacciono e possono intrattenere, a maggior ragione in questo periodo!
Se sei interessato all’Hucho cerca nel blog, ci sono almeno un altro paio di articoli 😉
A presto
Rock’n’Rod
Leggendo ho sentito la magia di quei posti…bravi
Grazie mille Stefano! Rock’n’Rod