Esche vive

Esche vive di Fabio GenovesiUn rapporto difficile col padre, la voglia di spaccare il mondo insieme alla sua band metal, il primo amore, un gruppo di vecchi agguerriti e uno strano ragazzino che non sopporta: questi sono i quasi vent’anni di Fiorenzo a Maglione. Un libro che si fa leggere in poche, piacevoli ore, presi in un turbinio tipico di quell’età, delicato e sguaiato al tempo stesso è in grado di incollarvi fino alla fine. E la pesca? C’è, tranquilli, c’è. Liberamente tratto da Esche vive di Fabio Genovesi, ed. Mondadori 2011.

Portacanna in spalla, cassetta tra le gambe e via con lo scooter a manetta. Questo è il classico giorno che l’unica cosa è andare a pesca. Un caldo umido e puzzolente, niente vento, niente alberi intorno, e il ciclo è il tipico sereno della piana: prendi due o tre nuvole, mischiale con un ciclo pulito e spalma il mix bianchiccio su tutto l’orizzonte, ecco il sereno della piana di Muglione.
Arrivo in un punto che mi piace perché ci cresce la vegetazione acquatica, qualche cannetta e una specie di ninfee senza fiore. Con un po’ di fantasia puoi pensare che è un lago o uno stagno, basta non annusare l’aria, basta non allargare lo sguardo. Metto all’amo due chicchi di mais e un bachino, come faccio sempre.

Ma adesso i bachìni li guardo con occhi diversi. Sarà che ormai ci vivo insieme, ma prima di lanciarlo in acqua lo tengo un attimo sulla mano e gli faccio un discorso. «Scusami amico, ma se oggi non venivo a pesca andavo fuori di testa. Magari facevo qualcosa di assurdo. Non lo so cosa ci sta pure che davo fuoco al negozio, e allora invece che in acqua morivi tra le fiamme. Non è meglio così?» Non risponde. Ma si agita un sacco su e giù e lo prendo come un si. Lo lancio. Tocca il fondo in un attimo perché è bassa, il galleggiante si drizza al punto giusto e devo solo aspettare che si muova.

Ma non deve andare subito giù, perché se va giù secco vuoi dire che è un pesce piccolo. Meglio se comincia a camminare sull’acqua. Si sposta un po’ di qua un po’ di là, come uno che vuole andarsene ma è indeciso. Poi prende una direzione, parte di scatto e affonda, e solo in quel momento tu devi tirare su la canna e ferrare. E il pesce capisce che l’hai fregato. Madonna, mi faccio paura da solo, sulla pesca la so propria lunghissima.

Il guaio è che non so nulla sul sesso, nulla di nulla. E se per caso ci fosse un seguito con la donna dell’lnformagiovani, non credo che la mia abilità nella pesca mi potrà aiutare in qualche modo. Tipo che lei è lì sdraiata e aspetta che faccio qualcosa, e io le dico: Senti, a mettertelo dentro non so come fare, però so riconoscere l’abboccata di una tinca lontano un miglio.

Infilo la mano nel sacchetto dei bachìni, ne prendo un pizzico, li saluto e li lancio precisi intorno al galleggiante. Mi pulisco la mano alle cannelle e riprendo la canna, che avevo appoggiato un attimo sul braccio destro. All’inizio sembrava impossibile pescare con una mano sola. Oltre alla canna e al mulinello ci sono dei nodi così complicati che un sacco di gente si incasina pure con due mani. Io però a quattordici anni mi sono messo al tavolo di cucina e ho deciso che ce la dovevo fare. Ho cominciato col nodo per legare l’amo, e dopo tre giorni non ne avevo legato nemmeno uno. La mamma ogni tanto passava per preparare il pranzo e poi la cena mi guardava e però non chiedeva mai: Quanti ne hai legati? […]

Ma poi vedo un cerchio leggero nell’acqua. Come centro ha il galleggiante. Un altro cerchio, altri due. E allora la mente scende giù da questi pensieri e punta tutta verso l’acqua. Stringo la mano intorno alla canna. Il galleggiante ruota appena, si piega, resta fermo così. E dai, parti, dai… Un piccolo scarto in avanti, piano piano il galleggiante parte, accelera, il pesce c è e mi chiede tutta l’attenzione. Grazie amico, grazie davvero. Tanto poi lo sai che ti lascio andare.

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