Lui è, semplicemente, la Storia dell’autocostruzione in Italia. Costruisce e ha costruito molto, non solo esche: ha collaborato e continua a farlo con alcune tra le più conosciute riviste di settore, ha creato una linea di canne e da ultimo ha scritto due libri che sono considerate la Bibbia da chiunque si dedichi a quest’attività (li considererei tali anche io se non avessi l’incrollabile certezza che se provassi a costruire qualcosa riuscirei a piantarmi acciaio in tutte le dita, segarmi almeno tre falangi e scartavetrarmi le pupille nel giro di pochi minuti). Lui è Moreno Bartoli che si presenta con alcuni stralci, che considera più importanti, presi dal suo sito.
Il mio nome è Moreno Bartoli… sul fiume mi chiamano “il professore”… forse perché parecchi anni fa incontrai un pescatore (Bruno Cei) sull’argine del Serchio mentre provavo degli artificiali “strani” e vedendo che in mano avevo un paio di pinze e un tubetto di colla si fermò incuriosito… parlammo molto… e mentre le parole scorrevano come scorreva la corrente del fiume davanti a noi, un sottile legame nasceva… legame d’amicizia profonda… in quel primo incontro mi presentai dicendo quale fosse il mio lavoro… insegnante in una Scuola Media della Provincia di Lucca… ma come spesso accade si ricordano le professioni ma non i nomi e così il pescatore incontrato per caso parlando con altri pescatori e raccontando di “… pesciolini particolari fatti a mano da un tizio, un professore, credo…” ha fatto nascere questo soprannome “il professore”… banale storia… semplice e banale…
Da quanto peschi?
Sono 60 anni che giro per il Serchio e se ci sommo 8 anni in cui non sapevo cosa fosse la pesca si arriva alla mia età… classe ’49… devo ringraziare mio padre Giuliano per aver messo tra le mie piccole mani il primo pesce, un cavedanello e per avermi dato i primi insegnamenti… non di pesca… quelli li ho appresi da me, stando ore e ore ad osservare i molti pescatori che frequentavano le rive del fiume… osserva e impara mi dicevo… no, mio padre mi ha insegnato ad entrare in “punta di piedi” nell’ambiente fluviale… mi ha fatto capire come ogni singolo tratto di fiume sia una nicchia ecologica originale e irripetibilmente equilibrata con le sue regole ferree che ognuno deve accettare nell’entrarvi… “…non devi lasciare alcuna traccia della tua presenza…”, mi diceva, “…tutto deve rimanere come l’hai trovato…”…e mentre così diceva rimetteva in acqua il pesce appena catturato…”…trattieni solo ciò che mangi…” …allora non si diceva “catch and release” oppure “no kill”… non si diceva niente, ma si FACEVA, così, naturalmente… grazie papà…
Quando hai iniziato a costruire? Ti ricordi la tua prima creazione?
Sono sempre stato curioso di sapere cosa c’era dentro ai miei giocattoli preferiti e per quello che ricordo non se ne è salvato uno! Il “Meccano” e il “Lego” mi hanno accompagnato negli ultimi anni delle elementari fino quasi alla licenza di scuola media, sostituiti con scatole di montaggio di aeromodelli in balsa che mai hanno volato come volevo perché ogni volta cambiavo il progetto apportando delle modifiche con la scusa “…così volerà meglio…” …se non avevo tra le mani un pezzo di legno, avevo un libro… quasi sempre manuali, quasi sempre istruzioni per l’uso… di modellismo, di pittura, di pesca… In famiglia solo mio padre lavorava, come operaio, mia madre con la terza elementare (colpa della guerra)… circolava poco denaro nelle mie tasche, per ciò che era necessario, ma non per il superfluo… la mia prima canna, una Carson di 4 metri, fissa, divenne “bolognese” con un Mitchell 308 usato e quattro anelli da me legati con del cotone marrone che mia madre usava per attaccare i bottoni alla camicia di papà… era la miglior canna del mondo e con quella ho imparato a “stancare” il pesce… con quella ho vinto un Campionato Provinciale di pesca giovanile non mi ricordo più in quale anno… ho pescato in squadra con Carlo Chines sul lago di Vagli… grandi gare, grandi soddisfazioni… ma anche troppa confusione, troppa gente tutta insieme sulle rive e tutti a parlare, ridere, prendersi in giro, sporcare, danneggiare, violare qualsiasi forma vivente fuori e dentro l’acqua. Lentamente mi sono allontanato da coppe, medaglie, classifiche per ritrovarmi solo, io e il fiume… ho abbandonato i campi da gara… come un novello gabbiano Jonathan sono andato alla ricerca di nuove acque, nuovi profili di corrente… nuove (per me) tecniche di pesca che pochi apprezzavano… mi sono ritrovato con un manuale del costruttore di mosche artificiali in mano… primi tentativi di costruzione con quattro piume sbilenche portate dal vento… e di nuovo l’insoddisfazione di fare ciò che altri hanno fatto… questa marea interiore che montava lentamente portandomi alla ricerca di nuove soluzioni costruttive…l ‘idea fissa era questa: le esche artificiali in commercio sono state costruite basandosi su personali esperienze di pesca quindi limitate a certi ambienti, a certe acque, a certi pesci… come si può pescare nei torrenti dell’Appennino con gli stessi artificiali nati e collaudati con successo in Inghilterra o in America o in Giappone? Certo se non ci sono alternative, se la scelta è obbligata, si pesca con quello che si trova in negozio e molti pesci abboccano lo stesso, convincendoci che, dopotutto, sono artificiali giusti anche da noi. Ma perché non provare a creare esche italiane nate dalla nostra esperienza diretta, specifiche per quell’acqua, per quel nostro pesce in particolare? Questo era ed è ancora il pensiero dominante. L’esperienza della pesca a mosca è durata pochi anni, la costruzione delle mosche mi portava lontano dall’unico materiale che mi esalta: il legno… il suo odore durante la lavorazione mi appaga. L’incontro con un esperto pescatore di trote come Fabrizio Cerboni fece di me un accanito sostenitore della pesca a spinning. Ricordo che le mie prime creazioni furono dei micro cucchiaini rotanti per le acque basse del “mio” fiume Serchio che se fossero ricostruiti oggi sembrerebbero una brutta copia delle creazioni di “Flumen Fly Style”.
Perché hai iniziato ad autocostruire?
L’autocostruzione dovrebbe essere intesa come parte integrante dello spinning. Se quasi la totalità dei pescatori a mosca costruiscono le loro mosche così, credo, quasi la totalità dei pescatori a spinning dovrebbero essere in gradi di costruirsi le proprie esche per essere considerati ‘completi’. Qualsiasi esca autocostruita è unica, irripetibile come unica e irripetibile è la cattura che quell’esca può realizzare. Ho sempre avuto in testa un’idea fissa: arrivare a costruire gli artificiali per la pesca a spinning evitando sistematicamente l’acquisto di quelli in commercio:
Esche specifiche per pesci specifici, in acque specifiche.
Quando peschi che tecniche pratichi, dove e rivolte a che pesce?
Pratico tutte le tecniche di pesca che abbiano come obiettivo la cattura di pesci esclusivamente con esche artificiali autocostruite. Ho sempre pescato una specie di pesce alla volta. Iniziai con la trota dei torrenti appenninici e mi dedicai alla costruzione di rotanti e ondulanti. Passai alla pesca dei cavedani del piano e fu la volta di minnows vari ed esche con paletta. Quindi mi dedicai a boccaloni e lucci, con spinnerbaits, WTD, esche siliconiche. Poi fu la volta della spigola di foce con gli snodati, per finire in mare aperto con serra e lecce e pesca sulle “mangianze” insidiate con poppers e skipping lures. Per ogni specie di pesce progetto esche specifiche, originali e gli amici, viste le catture effettuate, non tardano a farsi avanti con la classica domanda. “Ne fai uno anche a me?” E uno dopo l’altro mi son ritrovato a dover gestire una piccola partita IVA. Identica storia per le canne da pesca (Athena, Esperia, Iridia, Oniria, Ultima). Nel frattempo ho scritto due libri sull’Autocostruzione: il primo (Manuale del costruttore di Esche Artificiali) nel 2004 e il secondo (Advanced Custom Lure Building) nel 2011 e nel periodo che va dal 2001 al 2008 ho curato mensilmente, sulla rivista Pescare, una rubrica intitolata “Fai da Te” dedicata esclusivamente all’autocostruzione di artificiali da spinning. Dal 2005 al 2010, sul forum di Seaspin ho organizzato sei edizioni del “Seaspin Lure Building Contest”, primo concorso, in assoluto in Italia, ma forse nel mondo, a giudicare gli artificiali concorrenti attraverso la prova pratica in acque libere e naturali, non in vasca o piscina. Attualmente curo la rubrica di Autocostruzione sulla rivista: La Pesca Mosca e Spinning.
Qual è il tuo più grande vizio?
Credere in me stesso e nelle mie idee.
Qual è il materiale che ami di più? E quale tecnica di costruzione?
Amo il legno, lo adoro, sono ‘legno-dipendente’. Tutti i miei progetti nascono dal legno. L’uso della resina e degli stampi è una necessità successiva, dovuta a esigenze di resistenza e di durata nel tempo, oltre che alla ricerca di nuovi rapporti tra pesi specifici e volumi.
Nel corso degli anni, produttori e tecnologie hanno migliorato molto le nostre attrezzature da pesca, per te qual è stata la novità più utile e rilevante?
A mio parere, il grande successo della pesca a spinning è dovuto principalmente a due fattori: l’introduzione della fibra di carbonio nella costruzione delle canne da pesca e la realizzazione di esche in silicone.
Qual è l’elemento che conta di più nel successo di un artificiale? Colore e realismo, equilibrio dei pesi e vibrazioni, forma e sua idrodinamica?
Sono sempre più convinto:
Colore e realismo contano… poco o nulla: 3%
Equilibrio dei pesi 7%
e vibrazione 50%
Forma 5%
e sua idrodinamica 35%
Ma l’elemento che, secondo me, è essenziale e che nessuno quasi mai nomina è il cosiddetto “senso dell’acqua”. Un “sesto senso” che nessun pescatore possiede sempre e comunque, ma che a volte ci permette di fare “quel” lancio in “quel” punto e in “quel” momento e ci fa risolvere una battuta di pesca “nata male”.
Ci descrivi i principali processi e fasi della costruzione di un tuo artificiale?
I principali processi costruttivi, a parte due “segreti” che non dirò mai neppure sotto tortura, sono i seguenti (come esempio prendo un minnow):
- sagomare il legno a mano libera
- realizzare gli alloggiamenti del piombo, dell’armatura passante e della paletta con seghetti a mano
- con una dima creare gli anelli anteriore, posteriore e centrale, se presente
- fissare l’armatura con colla
- preparare il filo di piombo necessario
- incollare il piombo
- incollare la paletta
- stuccare il ventre ed eventuali imperfezioni del legno
- togliere lo stucco in eccesso con l’ausilio di carta a vetro
- carteggiare a mano e rifinire l’esca
- utilizzando un turapori immergere il minnow per due volte e, quando asciutto, altre due mani con vernice bianca
- Una volta asciutta la vernice bianca, con un punteruolo pulire gli anelli dalla vernice
- mettere le ancorette e andare sul fiume a fare la prima prova in acqua. Ripeto: la prova in acqua va eseguita sul fiume, lago, mare.
- colorare, con o senza aerografo, l’esca
- asciutto il colore, passare uno strato di vernice trasparente ed applicare eventuali glitters.
- applicare gli occhi e passare alla resinatura alloggiando il minnow su di un girarrosto per “stendere” uniformemente lo strato protettivo (resina epossidica).
- pulire degli anelli
- controllare eventuali difetti estetici
- ritornare sul fiume, lago, mare ed eseguire la seconda e definitiva prova in acqua
Quanto tempo dedichi all’autocostruzione e quanto alla pesca?
In una scala da 1 a 10: 6 per autocostruzione, 4 per la pesca.
Cos’è per te la pesca e cosa significa per te costruire esche?
La pesca è per me quello che la montagna è per lo scalatore, quello che la poesia è per il poeta, quello che i colori sono per il pittore, quello che è il goal per un calciatore, quello che è un dolcetto per il bambino goloso…
Qual è la tua marca di esche artificiali presente sul mercato preferita?
Quei pochi artificiali da me acquistati in negozio sono per l’80% della Rapala finlandese. Il restante 20% sono solo “cineserie” che, come passano la frontiera, d’incanto, diventano “Made in Italy”.
Qual è il tuo sogno di costruttore di esche?
Essere ricordato, un domani il più lontano possibile, come uno dei “padri” dell’autocostruzione italiana. Mi piacerebbe venire a sapere, in futuro, che molti giovani spinners si sono “fatti le ossa” come autocostruttori leggendo anche i miei articoli e i due manuali di autocostruzione.
Se potessi scegliere un altro costruttore a cui affiancarti, presente o passato, il più bravo, chi sarebbe?
Non ci possono essere dubbi. Chi è che ha lavorato con coerenza, con semplicità, con sincerità? Si, avete pensato bene, proprio lui, proprio Lauri.
Quali sono, nell’ordine, i primi materiali e attrezzi che consigli a chi vuole iniziare ad autocostruire? E con quale imitazione partire?
Facile. Personalmente ho cominciato con carta abrasiva, seghetto a ferro, pinze universali e a becchi tondi, tronchesina, pennello, qualche colore: bianco, rosso, nero. Si parte con la scelta del pesce da insidiare (esempio: trota di torrente) e si cercano tutte le informazioni possibili a 360°: come, dove, quando, come la pescano gli altri pescatori. Si sceglie un tipo di artificiale (esempio: un rotante Martin presente in commercio) e si inizia a costruirne uno simile apportando qualche variazione, nel peso e/o nella forma e/o nei colori. Se non riuscite a costruire personalmente tutte le varie parti smontate alcuni vecchi rotanti e assemblate il vostro.
Che consigli daresti a chi si avvicina all’autocostruzione?
Anche se corro il rischio di ripetermi consiglio di non dimenticare mai a quale tipo di pesce ci si sta dedicando e di autocostruire, quindi, ESCHE SPECIFICHE PER PESCI SPECIFICI IN ACQUE SPECIFICHE.
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Per vedere le sue esche, canne e libri potete visitare il suo sito dove trovate tutti i riferimenti oppure sulla sua pagina Facebook.
Bellissima intervista!