Mentre passeggiavo, curiosando tra le vetrine del Pescare show 2017, sono stato colpito dalle livree di alcuni egi. Non mi sono mai interessato all’articolo perché è una pesca che non faccio, ma quelli erano rifiniti maniacalmente e avevano un retrogusto giapponese che mi ha fatto fermare. Così ho conosciuto Alex e adesso ci tengo che lo conosciate anche voi.
Mi chiamo Alex Santoro, sono siciliano, ho 29 anni e sono il fondatore, titolare e manager del brand OMOROL: One Man, One Rod, One Lure, che si occupa di prodotti artigianali per la pesca sportiva con esche artificiali. In questa avventura sono affiancato da mio fratello Alan e dalle persone a me più care, che allo stesso tempo supportano e sopportano la mia passione smodata per la pesca e tutto ciò che ci ruota attorno. Probabilmente ho più passioni che tempo per praticarle e spaziano dalle attività outdoor in genere all’informatica, la grafica e ovviamente i viaggi e la conoscenza di nuove realtà.
Da quanto peschi?
Pur essendo nato in Sicilia (Taormina) ho vissuto i miei primi 8 anni di infanzia in Sardegna, più esattamente in provincia di Cagliari in un paesino a due passi dal mare. È proprio sulle dorate spiagge sarde che ho i primi ricordi di pesca.
Quando hai iniziato a costruire? Ti ricordi la tua prima creazione?
Le prime creazioni risalgono probabilmente a quando ero bambino: con mio fratello ci costruivamo delle piccole imitazioni di verme di sangue avvolgendo del filo di cotone rosso attorno ad un amo (senza sapere neanche lontanamente cosa fosse la pesca a mosca), ricercando le mormore a split shot con maschera e tubo semplicemente smuovendo la sabbia sul fondo e aspettando che fossero attratte dall’imitazione. Le prime creazioni da provetto costruttore sono state invece una jighead con sistema anti-alga e come esca artificiale un simpatico popperino celeste da light game. Seppur tecnicamente molto grezzi e poco curati nei dettagli, custodisco ancora gelosamente molti prototipi e insuccessi costruttivi dei primi tempi, rappresentano un po’ le basi del mio percorso.
Perché hai iniziato ad autocostruire?
Ho da sempre avuto il pallino del “come è fatto?”. Da bambino ad esempio mi incuriosiva sapere come fossero fatti i giocattoli. Beh, da quando i miei nuovi balocchi sono diventati le attrezzature da pesca mi sono interessato a conoscere le dinamiche costruttive che ci fossero dietro ad ogni singolo prodotto: canne, mulinelli, accessori… e ovviamente esche.
Quando peschi che tecniche pratichi, dove e rivolte a che pesce?
Ormai da molti anni pratico quasi esclusivamente il lure fishing, soprattutto il light game ovvero la versione leggera delle più note tecniche con artificiali quali ad esempio light spinning, light eging e micro jigging. Con queste tecniche mi dedico alla cattura di predatori sia marini che di acque interne e tra le mie prede ricorrenti posso annoverare ricciole, alletterati, sugarelli, seppie e calamari in mare, mentre trote iridee, persici reali e black bass in freshwater. Le attrezzature moderne sono molto sofisticate e permettono davvero di affrontare prede di tutto rispetto con attrezzature solo all’apparenza sottodimensionate. Provare per credere!
Qual è il tuo più grande vizio?
Vizi non saprei proprio, difetti tanti! Ad esempio sono terribilmente perfezionista oltre che testardo… se mi metto in testa un’idea devo riuscire nel mio intento e nel migliore dei modi possibili.
Qual è il materiale che ami di più? E quale tecnica di costruzione?
Il legno con i suoi profumi ha un fascino unico, ma se devo pensare alla poliedricità di applicazioni adoro la combinazione tra resina e cariche, siano esse microsfere leggere o pesanti. Con l’utilizzo di stampi in silicone si può ottenere sempre la stessa forma in tempi relativamente brevi, dando modo di concentrarci sulla definizione del peso specifico della resina, la distribuzione dei pesi o l’inclinazione della paletta.
Nel corso degli anni, produttori e tecnologie hanno migliorato molto le nostre attrezzature da pesca, per te qual è stata la novità più utile e rilevante?
Fermo restando che il piacere della cattura con una canna di bambù ha tuttora il suo perché, ci sono due innovazioni che secondo me hanno sicuramente migliorato l’esperienza del pescatore ricreativo, ovvero l’utilizzo del carbonio nelle canne e l’introduzione dei filati multifibra.
Qual è l’elemento che conta di più nel successo di un artificiale? Colore e realismo, equilibrio dei pesi e vibrazioni, forma e sua idrodinamica?
Domanda da un milione di dollari! Penso che tutti quelli citati siano elementi imprescindibili per il successo di un artificiale e ritengo che il carattere stesso dell’esca derivi dalla corretta combinazione di queste variabili. Insomma se anche una sola di queste variabili non viene curata a dovere, con buona probabilità il progetto avrà qualcosa da correggere.
Ci descrivi i principali processi e fasi della costruzione di un tuo artificiale?
Facciamo l’esempio di un artificiale in resina alleggerita? Bene, considerato che abbiamo già a disposizione il nostro stampo in silicone la prima cosa da fare è posizionare armatura e piombatura della nostra esca (si può trattare di anellini e piombi separati oppure di un’armatura passante con piombatura fissata sulla carcassa). A questo punto si mescolano nelle dovute proporzioni la parte A e B della resina opportunamente pre-miscelate con microsfere cave per rendere il composto galleggiante. Una vota effettuata la colata si attende il tempo sufficiente affinché indurisca per procedere poi alla sformatura. Un’attenta carteggiatura e sgrassatura della superficie preparerà il grezzo alla stesura del primer; una volta che il fondo sarà asciutto si passa al momento artistico, la verniciatura! Io prediligo i colori ad acqua spruzzati ad aerografo ma ci sono altri colori e tecniche molto interessanti ed efficaci. Una volta che il colore è asciutto anche in profondità si può passare alla protezione trasparente, che va fatta a pennello con una resina epossidica di ottima qualità, rispettando i requisiti di temperatura ed umidità richiesti dal produttore. Qualche ora sul “girarrosto” e la nostra insidia è pronta a riposare per qualche giorno, dopo del quale non ci resta che ripulire gli anellini dell’esca dalle sbavature di resina e fargli fare il primo bagnetto.
Quanto tempo dedichi all’autocostruzione e quanto alla pesca?
Negli ultimi tempi devo dire che dedico più tempo a costruire e testare che alla pesca vera e propria, ma credo che sia normale per chi lo faccia di mestiere, chiamiamola deformazione professionale.
Cos’è per te la pesca e cosa significa per te costruire esche?
Ti assicuro che non è facile spiegare cosa significhi per me pescare e soprattutto costruire esche. Ormai sono due cose che vanno di pari passo e non potrei pensare di scindere queste due grandi passioni.
Qual è la tua marca di esche artificiali presente sul mercato preferita?
A livello industriale Duo, a livello artigianale Jack Fin anche se in effetti la lista si potrebbe allargare.
Qual è il tuo sogno di costruttore di esche?
Un po’ semplice e un po’ megalomane, il mio sogno è vedere utilizzatori soddisfatti delle attrezzature OMOROL in ogni angolo del mondo.
Se potessi scegliere un altro costruttore a cui affiancarti, presente o passato, il più bravo, chi sarebbe?
Non si tratta di chi sia o fosse il più bravo, ma di quale mi affascini di più: Lauri Rapala!
Quali sono, nell’ordine, i primi materiali e attrezzi che consigli a chi vuole iniziare ad autocostruire? E con quale imitazione partire?
Come materiali direi legno di balsa o samba, filo di acciaio da 0,8/1,0 mm, colla cianoacrilica, stucco per legno, policarbonato da 1 mm, piombo tenero, fondo turapori, colori a bomboletta e finitura trasparente monocomponente. Per gli attrezzi la regola d’oro è “pochi ma buoni”: seghetto, cutter, martello, pinze a becchi piatti e a becchi conici, forbici e tronchesi. Per chi è alle prime armi consiglio di iniziare con un classico minnow con paletta, è ottimo per capire la distribuzione dei pesi e l’azione in base alla forma, dimensioni e inclinazione della paletta.
Che consigli daresti a chi si avvicina all’autocostruzione?
Consiglio di andare per livelli, iniziando con qualcosa di pratico e semplice da realizzare e far nuotare per poi passare via via a progetti più complessi. Concentrarsi soprattutto nei primissimi tentativi alla sostanza più che all’estetica è fondamentale per consolidare la propria tecnica costruttiva di base (meglio fare un’esca che funzioni prima di farla anche bella). E col passare del tempo di lasciarsi andare alle proprie idee, senza focalizzarsi su schemi costruttivi ormai ritenuti “inviolabili”: la curiosità è la chiave, chi ce l’ha ne faccia tesoro!
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