La stanza dell’autocostruzione – 32 – Spoonboy

Ha le idee chiare e ci si impegna a fondo senza scordarsi di prendere le cose con un pizzico di leggerezza. Ha a cuore la salute del suo fiume tanto da promuovere la nascita di un’associazione dedicata. Come se non bastasse, i suoi artificiali, che conosciamo da anni, sono curati maniacalmente in ogni linea, pennellata o rifinitura. In pratica, se fosse una donna, sarebbe il sogno erotico di ogni pescatore…

Mi chiamo Alessandro Hoban, ho 47 anni e sono nato a Gorizia, a due passi dal fiume Isonzo. Da una quindicina d’anni mi sono trasferito nella città di Cormons, tra il verde delle colline, dove ho conosciuto mia moglie Denisa con la quale ho costruito una splendida famiglia. Fin da piccolo ho provato una forte attrazione per l’acqua tanto che è riuscita a influenzare diversi aspetti della mia vita, sia ricreativi che lavorativi. Ho mancato di poco la laurea in biologia ma ciò non mi ha impedito di trovare lavoro nel campo dell’acquacoltura. Parallelamente ho contribuito, assieme a un gruppo di amici, alla costituzione del forum e successivamente dell’associazione Fiumeisonzo, comunità che si propone di promuovere il concetto di pesca e gestione responsabile attraverso anche alla collaborazione con esponenti dell’Ente gestore. Sui forum ho iniziato a farmi conoscere come costruttore con il nickname “Spoonboy”, chiara allusione alla mia vecchia passione per la pesca con gli ondulanti e tributo segreto ad un pezzo dei Soundgarden.

Da quando peschi?
Da sempre… o almeno da quando ne ho memoria. La pesca è stata per me quasi un percorso “obbligato” dal quale difficilmente avrei potuto sottrarmi, se non altro per il fatto che sono cresciuto in una famiglia dove la pesca era il verbo quotidiano. Anche la maggior parte degli amici di famiglia erano pescatori, cosa che mi ha permesso di beneficiare dell’esperienza di grandi figure dell’ambiente. Tra tutte, quella a cui devo di più, è indubbiamente quella di mio nonno Giovanni, che ha saputo alimentare e consolidare la mia passione. Se aggiungiamo a questo background familiare il fatto che ho vissuto sempre strettamente a contatto con il fiume il quadro si delinea perfettamente.

Quando hai iniziato a costruire? Ti ricordi la tua prima creazione?
Nonostante fossi venuto a conoscenza di esempi di artigianato auto-costruttivo fin dagli anni ottanta e novanta, grazie alle riviste del settore, ho cominciato relativamente tardi, circa una quindicina di anni fa. Probabilmente in coincidenza con il momento in cui ho consapevolmente abbracciato lo spinning come tecnica preferita, svincolandomi temporaneamente dall’ambiente fiume, per immergermi nel contesto degli stagni alla ricerca del bass. L’esigenza di procurarmi sempre nuove esche da provare, unita a quella “formidabile lampada magica” che è il web (al tempo in pieno boom) mi hanno portato a scoprire questa realtà parallela fatta di forme, colori, forum, battaglie, disquisizioni, artisti, inventori, e naturalmente relative catture. Avendo fatto in passato esperienza nel campo del modellismo statico, per me l’attrattiva era forte. Il colpo di grazia è arrivato con l’acquisto della “bibbia” dell’autocostruzione di Moreno Bartoli che mostrava la fattibilità come una cosa concreta e alla portata dei volenterosi. Le prime produzioni, per lo più mirate al bass, sono state una serie di prove più per capire la dinamica che per pescarci seriamente. La svolta definitiva è avvenuta ritornando a pescare in acque correnti. Mi ero sempre chiesto del perché in commercio ci fosse quasi la totale assenza di modelli imitanti lo scazzone, preda principale delle marmorate. Non trovando risposte decisi di dedicarci un po’ di tempo e alla fine mi ritrovai sul fiume con un piccolo prototipo in mano. La prima prova fu una delusione poiché l’artificiale non entrava correttamente in pesca. Ritentai una seconda volta, dopo una veloce modifica “sul campo’’ fatta di un pezzetto di piombo e una goccia di colla cianoacrilica. Pochi giri di manovella e il filo si fermò. Quello che inizialmente pensavo essere il fondo si trasformò in un bellissimo e combattivo esemplare di marmorata. Quella trota forse per me è stata la più importante tra quelle prese, dal punto di vista dell’autocostruzione, non tanto per la dimensione quanto per il significato e per la carica di fiducia che ha saputo darmi.

Bisogna ricordarsi sempre che le esche che costruiamo sono progettate per incagliarsi, perdersi e rompersi mentre le catture sono semplici incidenti di percorso.

Quando peschi che tecniche pratichi, dove e rivolte a che pesce?
Pur avendo provato diverse tecniche sia in mare sia in fiume, prediligo quelle con le esche artificiali. Mi danno una maggiore soddisfazione personale e ritengo che permettano un approccio più sostenibile se usate con i dovuti accorgimenti. Il target è principalmente salmonicolo con una preferenza per la trota marmorata.

Qual è il tuo più grande vizio?
Il controllo. Sono una persona molto esigente, soprattutto nei miei confronti e, in quanto tale, difficile da accontentare. Parlo ovviamente dei risultati dei miei lavori. Perché alla conclusione di una mia sessione vedo non il risultato finale come definitivo ma solamente uno step da cui far partire la sessione successiva. Questo mi porta a variare frequentemente i progetti con il rischio che subentri anche la fretta, la voglia di chiudere velocemente un progetto per provarlo o semplicemente per iniziarne uno nuovo. Per contrastare il caos che ne deriverebbe, con il tempo, ho imparato a rallentare il processo di costruzione, fissando idee e passaggi su diversi quaderni. A molti possono sembrare una forma artistica parallela ma per me sono fondamentali per tenere sotto controllo tutto il processo, dal fissaggio della forma sulla carta alla sua realizzazione. Ogni lavoro deve partire da un disegno che è il naturale collegamento tra l’idea e la mano che poi la realizzerà.

Qual è il materiale che ami di più? E quale tecnica di costruzione?
Indubbiamente il legno è il materiale che prediligo in assoluto anche se non demonizzo a priori l’uso delle resine. Per quanto riguarda la tecnica di lavorazione sono abbastanza adattabile e, a seconda delle esigenze, posso usare il sempre classico plattorello per passare al carving (intaglio).

Nel corso degli anni, produttori e tecnologie hanno migliorato molto le nostre attrezzature da pesca, per te qual’è stata la novità più utile e rilevante?
Sicuramente l’avvento del carbonio, delle fibre e delle leghe metalliche di ultima generazione hanno affrancato il pescatore sempre più dal concetto di “gravità’’ regalando attrezzature più leggere. Nello spinning questo vuol dire tanto soprattutto quando si passano giornate intere a lanciare artificiali di generose dimensioni. Nel mondo delle esche la vera rivoluzione è avvenuta con l’introduzione delle esche viniliche e siliconiche che hanno saputo colmare il gap tra pesca artificiale e naturale, cambiando radicalmente i connotati tanto da renderle quasi indistinguibili con conseguenze non sempre quantificabili sull’impatto ambientale.

Qual è  l’elemento che conta di più nel successo di un artificiale? Colore e realismo, equilibrio dei pesi e vibrazioni, forma e sua idrodinamica?
Artificiale giusto, nel posto giusto, al momento giusto. Questa è la miglior risposta che posso dare. Il che la dice tutta sulla complessità della questione. Sono stati spesi fiumi di parole in merito ma ritengo che l’ultima (parola) appartenga di diritto all’esperienza personale. Parlando di marmorate ho avuto il modo di catturarne diverse in passato rasente il fondo con esche che muovevano e vibravano poco ma riassumevano nell’aspetto un tipico pesce foraggio con i suoi flash e la sua forma. Evidentemente il pesce in caccia attiva è meno selettivo. In altri casi ho notato che l’eccessiva vibrazione disturbava l’attacco mantenendole indecise sulla scia dell’esca per diversi metri. Indubbiamente il bilanciamento è basilare per mandare correttamente l’esca in zona di caccia e, se riproducibile, come elemento sceglierei “l’effetto wobbling statico’’. Questo altro non è che il rollio in caduta, a esca ferma, grazie al quale possiamo contare su qualche chance in più verso le trote attive. Le vibrazioni rendono di più in condizioni di scarsa visibilità. Per il discorso colori invece cerco di usare quanto più possibile colori naturali che ricordino le prede reali (scazzoni e ciprinidi vari). I colori più vivaci li riservo per particolari condizioni come le fredde acque di scioglimento della neve di inizio stagione.


Ci descrivi i principali processi e fasi della costruzione di un tuo artificiale?
La maggior parte delle volte parto da un pezzo di carta e una matita. Una volta fissato il concetto di massima lo traduco in dima e lo trasferisco su dei listelli di legno. La fase successiva è quella di “sgrezzatura’’, cioè vengono tolti gli eccessi di legno  dando forma alle curve dell’artificiale. Seguono in ordine la realizzazione dello scasso della paletta, la creazione dell’armatura passante in acciaio e della zavorra con relativa sede. Quest’ultima viene ottenuta mediante fusione di piombo e colata in stampi creati ad hoc. La sigillatura del complesso corpo-zavorra-armatura con colla epossidica chiude la fase dell’assemblaggio. Poi passo alla fase della preverniciatura che prevede l’impermeabilizzazione/impregnazione del legno e la successiva stesura del primer che fungerà da base per la colorazione. Per la decorazione normalmente uso l’aerografo a volte integrandolo con il pennello. Una volta finita la livrea applico una o più mani di protettivo epossidico bicompontente che ha il duplice scopo di proteggere l’esca e renderla esteticamente più accattivante. Alla fine si tratta di una molteplice serie di passaggi obbligati, alcuni ripetitivi ma fondamentali per la buona riuscita.

Quanto tempo dedichi all’autocostruzione e quanto alla pesca?
Per quanto riguarda l’autocostruzione non saprei quantificare, nel senso che sono sempre in movimento e appena ho la possibilità porto avanti il lavoro. Durante il fermo pesca posso arrivare a farlo quotidianamente. Il conflitto del “tempo a disposizione’’ nasce con l’apertura della stagione. Ogni occasione è buona per andare sul fiume, ma dato che ormai pesco quasi al 100% con i miei autocostruiti, la vedo come una continuità operativa del lavoro invernale, senza nulla togliere al divertimento e al relax che rimangono il mio obiettivo principale.

Cos’è per te la pesca e cosa significa per te costruire esche?
È una sensazione difficile da spiegare. Adesso, con la maturità, la pesca è diventata, al di là della cattura, la capacità di tracciare un cerchio attorno a me fuori dal quale lasciare i lati stressanti della quotidianità e allo stesso tempo è la capacità di poter condividere racconti, memorie ed emozioni. È un po’ la ricerca di quella spensieratezza con cui si affrontava il fiume da giovane. Sentirsi gratificati e allo stesso tempo rigenerati. Costruire invece è tradurre concretamente il livello di concentrazione raggiunto.

Qual è la tua marca di esche artificiali presente sul mercato preferita?
In pole position i minnows Rapala per ragioni affettive e per il design sobrio, ma sempre attuale, che ha saputo influenzare generazioni di autocostruttori. Il Countdown “Spotted dog’’ prodotto per il mercato australiano è in assoluto un capolavoro di sintesi dal punto di vista della colorazione. A seguire indubbiamente la Heddon, grande casa storica americana, per quel tocco vintage che assieme alla Luhr Jensen hanno riempito la mia cassetta dedicata al bass.

Qual è il tuo sogno di costruttore di esche?
Continuare a divertirmi costruendo e pescando con le mie esche. Mi ero posto l’obiettivo di pescare solo con autocostruiti e l’ho raggiunto. Penso di ritenermi più che soddisfatto. Magari trasmettere qualche aspetto di questa passione anche ai miei figli mi renderebbe orgoglioso. Ma per questo c’è ancora tempo.

Se potessi scegliere un altro costruttore a cui affiancarti, presente o passato, il più bravo, chi sarebbe?
Per me non esiste “il più bravo’’, bensì esistono diverse capacità espressive modulate dalla durata dell’esperienza nel campo. Certo, i talenti esistono e li ammiro, ma spesso autocostruttori “non di fama” sanno regalare preziosi spunti di riflessione e soluzioni interessanti. Ho tanti punti di riferimento con i quali mi confronto: la vecchia guardia del forum di BB&Co, Cobra, Lorenzo Rocchigiani e Simone Boesso, Antoni Conteddu, Alessandro Massari, Macigno, Carloehi Bass, Federico Marrone, tutta la banda degli “Artigiani della Pesca’’ con i quali ho condiviso un’esperienza televisiva, Gianni Stifani. Ma sopra tutti il grande amico e costruttore Andrea Zovatto, con cui, da qualche anno, condivido le battute di pesca e con il quale c’è un continuo e impressionante scambio di idee direttamente sul campo. E questa è solo la realtà nazionale, potrei continuare con l’area balcanica a me vicina (Monark Dok, Antax, Caki), con l’estremo oriente (Ando, Ginei), con gli States (Arsenal), etc. Ormai il mondo dell’autocostruzione è una realtà cosmopolita sempre più in fermento che sfrutta le potenzialità dei social per emergere.


Quali sono, nell’ordine, i primi materiali e attrezzi che consigli a chi vuole iniziare ad autocostruire? E con quale imitazione partire?
Per primo un block notes, una penna e a seguire una buona pinza a becchi tondi per piegare l’acciaio inox. Qualche pezzo di balsa o samba. Un paio di fogli di carta abrasiva di grana diversa, alcuni piombi di diversa forma, un pezzo di policarbonato (meglio se lexan) della colla bicomponente. Per la parte della colorazione conta poco che si usi pennelli, aerografo o bombolette basta che il risultato piaccia in primis a noi stessi. Sul tipo di imitazione da eseguire non mi allontanerei troppo dalle classiche forme e livree pesce foraggio per iniziare. La difficoltà iniziale è accettabile e hanno sempre tanta resa in pesca.

Che consigli daresti a chi si avvicina all’autocostruzione?
L’autocostruzione è la capacità di costruire con le proprie mani qualcosa di nuovo, che nessuno ha mai pensato, a partire da un pezzo di legno e con il risultato ottenuto convincere un pesce che è parte della sua dieta. Bisogna insegnare alle mani come muoversi e l’errore è una costante con cui all’inizio si deve convivere. Mano a mano che si avanza con l’esperienza il fallimento di un progetto diventa uno strumento costruttivo per risolvere i nodi. Copiare per esercizio è contemplato, anzi spesso è quasi un passaggio obbligato (a patto che si citino sempre le fonti per correttezza). Ma anche quando si è raggiunto un livello accettabile di esperienza non bisogna mai sentirsi arrivati perché c’è sempre da imparare. Per questo curare i rapporti con gli altri artigiani è parte fondamentale della propria crescita. Inoltre un autocostruttore deve avere fiducia nelle proprie esche, e per farlo deve pescare con esse e crederci. La prospettiva dello spinning da quel momento in poi cambia e non sarà più la stessa. L’ultimo consiglio che posso dare è che le cose nell’autocostruzione, così come nella vita in generale, vanno prese con la giusta serietà, magari con un pizzico di ironia che non guasta mai, ricordando sempre che le esche che costruiamo sono progettate per incagliarsi, perdersi e rompersi mentre le catture sono semplici incidenti di percorso.

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