Ruccio, il Maestro pescatore del Toce

Mario, cominciamo con le domande?

Chi è Mario? Da quando sono nato mi chiamano tutti Ruccio. E’ merito di mia nonna. E colpa dei miei vicini di fattoria.

Cosa c’entrano i vicini di fattoria col tuo nome?

A Domodossola, lungo il Toce, c’erano tre fattorie. In una viveva la famiglia Gianninone, cioè la mia. Quando sono nato, i miei genitori hanno scoperto che anche nelle altre due fattorie erano da poco nati dei bambini. Etrambi si chiamavano Mario! Tre Mario erano davvero troppi. Per me serviva un soprannome.

A questo punto, interviene la nonna.

Esatto. La nonna mi leggeva spesso un libricino. Io ero molto piccolo, non capivo niente. Uno dei personaggi del libro si chiamava Ruccio, non era il protagonista e a quanto so, non faceva niente di speciale. Ma quando la nonna leggeva quel nome, io sorridevo. Forse era un caso. Fatto sta che da allora tutti mi chiamano Ruccio.

Quando sei nato?

Il 18 marzo 1945.

Poco prima della Liberazione.

A dire il vero, in val d’Ossola ci eravamo dati da fare già prima. Siamo gente abbastanza dura, non ci piace farci comandare. I tedeschi li abbiamo cacciati da soli, senza aspettare gli americani.

Ruccio in pesca sul suo Toce

Ruccio in pesca sul suo Toce

A che età hai cominciato a pescare?

Mio padre mi diceva sempre che ho iniziato sul seggiolone. Penso sia una storia esagerata, di quelle che si raccontano nelle famiglie. I primi ricordi che ho a pesca risalgono a quando avevo cinque o sei anni. Andavo sul fiume con papà e con il suo amico Sisto, questo è vero. Sisto è stato il mio maestro. Un uomo tutto d’un pezzo, un gran pescatore. Pescavamo con il vivo manovrato, con il morto manovrato, a moschiera e a camolera, che qui in Val d’Ossola chiamavamo camoliera.

Quindi, trote.

Sempre trote. Tante marmorate. Ed era bello, perché le marmorate sono grosse e sono facili da scambiare.

Da scambiare?

Nei primi anni Cinquanta, la valle era povera. La guerra aveva lasciato tragedie, macerie e tanta gente senza lavoro. Nessuno aveva niente. Noi almeno avevamo le mucche. Mia nonna mungeva le vacche e andava a Domo a vendere il latte con il brentino. Hai presente il brentino?

Mai sentito nominare.

E’ un secchio di metallo con un rubinetto. Beh, comunque, nonna andava a Domo con il brentino a vendere il latte e si portava anche le trote che pescavamo io e mio fratello. Le scambiava con la verdura, con la carne, con il grano. Ma anche con candele, bottoni, fil di ferro, burro. Insomma, il latte e la trote erano la moneta della famiglia Gianninone. Poi, certo, c’era l’aspetto del divertimento. E c’erano le gare.

Le gare?

Ne facevo una all’anno al bacino di Toggia, a tremila metri di altezza. Una diga larga un chilometro e lunga non so quanto. Ci si organizzava per salire al lago con le macchine, che ai tempi erano poche. Si andava su da tutta la valle. E arrivava gente da lontano. Era una gara internazionale, arrivavano pescatori dalla Svizzera, dalla Francia, qualche belga. Arrivavano i novaresi, i lombardi, gente dall’Emilia Romagna, gente di Po. Era una specie di Giro d’Italia della pesca. Eravamo in quattrocentocinquanta a pescare sopra a quella diga.

Il Toce in una giornata fredda

Il Toce in una giornata fredda

Tu come ti piazzavi in classifica?

Da bambino, imparavo. Intorno ai diciottanni, forse un po’ prima, ho cominciato a vincere. Ho vinto tre edizioni consecutive ed ero solo un ragazzo. A ripensarci ora, mi rendo conto che era un altro secolo, un’altra pesca. Prendevamo pesci selvatici, fario bellissime. Oggi le gare non hanno più senso, sono uno dei mali della pesca. Si riempiono i fiumi di animali spinnati. Hai persino schifo a toccarli, poveracci. L’agonismo con la pesca non c’entra nulla. Ma lo dico oggi che ho 71 anni, a 16 la pensavo diversamente. Volevo vincere, pescare tanti pesci, esser io a prendere il più grosso.

Ora cosa chiedi alla pesca?

Ci ho pensato tante volte. Chiedo alcuni secondi di ricordo. Voglio lasciare il fiume con in mente un film di qualità. Quando torno a casa la sera, dopo una pescata solitaria sul Toce e una corsa in bicicletta, chiudo gli occhi e ripenso ai momenti. Alle abboccate. Ai movimenti dei pesci sotto il pelo dell’acqua. Alle ombre, alle foglie nella corrente, al silenzio.

Non fotografi mai i pesci che prendi?

Le foto le ho in testa. Non fotografo, misuro molto raramente, racconto pochissimo. Quando mi chiedono come sia andata a pesca, rispondo sempre che è andata bene. Anche nelle giornate storte. Anche nelle annate non eccezionali, come il 2015.

L'Anonima Cucchiaino al gran completo e il Maestro (da sinistra: Francis, Pietro, Franco, Ruccio e Jacopo)

L’Anonima Cucchiaino al gran completo e il Maestro (da sinistra: Francis, Pietro, Franco, Ruccio e Jacopo)

Quanti pesci hai preso nel 2015? 

Marmorate, intendi?

Marmorate.

Circa quattrocento. Negli anni buoni, quasi il doppio.

Allora i pesci non li fotografi e non li misuri, ma almeno li conti!

Ho detto “circa”. Non saprei dire con precisione. Ovviamente tutti a frusta.

A frusta?

A mosca secca. Sempre e solo secca. Ho le mie regole. Raramente passo sul fiume più di un paio d’ore  a fila. Di più non serve. Basta scegliere le ore giuste. È il bello di essere in pensione e avere tempo. Il brutto invece, alla mia età, è che non ti puoi arrampicare più di tanto. Quando vedo i giovani pescatori che saltano sui sassi e superano i salti d’acqua sono contento per loro.

Cos’altro pensi dei pescatori giovani?

La verità? Lo dico senza offese per nessuno: spesso non sono d’accordo.

Ruccio spiega, Francis e Jacopo ascoltano

Ruccio spiega, Francis e Jacopo ascoltano

Su cosa non sei d’accordo?

Sul fatto di fare i vanitosi con le foto di pesci in mano, e le marche delle canne e i mulinelli scritte da tutte le parti. Sulla mania del pesce grosso, che ti spinge a fare un pesca noiosa o ad andare nelle riserve. O peggio ancora, nei tratti di fiume che si chiamano “liberi” ma che sono in realtà a pagamento e ci buttano pesce di continuo. Comunque, davvero, questa cosa delle foto la capisco poco. Poi per carità, ognuno faccia quello che vuole.

Non sei un po’ severo?

Dove sono cresciuto io, gli uomini non erano certo tipi vanitosi. Qualcuno magari si vestiva in modo un po’ vistoso nei giorni di festa, al massimo. Ma erano in pochissimi a essere vanitosi. E mai i pescatori, questo è sicuro.

Non è che sei invidioso dei giovani perché si arrampicano e raggiungono le pozze più lontane?

Ma no, ho già dato con le pozze lontane! In Val Grande, che collega la Val di Gesso a Intra, per spostarci sulle pareti di roccia usavamo cavetti d’acciaio. Cadevamo. Ci facevamo male. Qualcuno su quelle pareti di roccia, che proteggevano il fiume, ci ha  lasciato la pelle. Anzi, più di qualcuno. Ora pesco per lo più sul Toce, il mio fiume.

Ruccio in azione

Ruccio in azione

Abiti vicino al Toce?

Vivo a settecento metri dall’acqua. E mi spiace. Un tempo ero molto più vicino, duecento metri al massimo. Io non mi sono mai spostato, il fiume invece sì. Prima l’autostrada, poi il depuratore, poi il nuovo argine. Ci manca solo che stendano cemento direttamente sul fiume, così hanno risolto il problema. E sai cosa mi stupisce?

Cosa?

Che le marmorate, nonostante tutto, sono ancora lì. E sono tante, sempre uguali, quelle della mia infanzia. Gli hanno cambiato tutto intorno, ma loro resistono. E mangiano quello che mangiavano sessantacinque anni fa. Gli stessi insetti, quindi le stesse mosche.

Tu hai inventato una mosca, la Ruccio.

A dire il vero ne ho inventate tredici. Riproducono gli insetti della Val d’Ossola. Li conservo sotto grappa, che è la nostra formalina. Le mie mosche sono tozze, ruvide, un po’ goffe. A molti pescatori non piacciono, però piacciono alle trote.

Ruccio con due giovani discepole al lago Mittagsee

Ruccio con due giovani discepole al lago Mittagsee

E a te le trote piacciono?

Da mangiare dici?

In padella o al forno.

Non riesco nemmeno più a vederle! Ne ho mangiate troppe da bambino e da ragazzo. Sono quattro anni che non trattengo nemmeno un pesce. Rilascio tutto. Slamo  in acqua e non uso ardiglioni. Questo per me è rilasciare il pesce. Com’è che dite voi?

Catch and release.

Catch and release, esatto. Oggi fanno tutti catch and release, a sentirli. Non conosco nemmeno un giovane pescatore che trattenga il pesce. Ai miei allievi, a cui insegno il lancio al lago Mittagsee, dico sempre una cosa: se mangi il pesce, trattienilo. Un colpo in testa e via. Se non lo mangi, rilascialo come si deve, senza tenerlo fuori dall’acqua mezz’ora.

Chi sono i tuoi allievi?

Ce n’è di ogni tipo. Ragazzini. Oppure trentenni. Quasi nessuno fra i 16 e i 25, perché a quell’età uno cerca altro, vuole perdersi, rischiare, vivere al massimo. Poi torna al fiume.

Franco (cioè io che ho fatto l'intervista) e il Ruccio

Franco (cioè io) e Ruccio

Cosa insegni, a parte il lancio?

La mia ambizione, quando dal laghetto passiamo finalmente al fiume, è insegnare loro a pescare, che è molto diverso da lanciare. Insegno il sasso, l’acqua, il silenzio, l’attesa. Insegno a fermarsi. A smettere di lanciare per ammirare il capriolo e il cervo, che sul fiume sono amici. Lo sono meno sulla statale. Un mio amico ha tirato sotto un capriolo sulla statale e ha lasciato 6mila euro al carrozziere. Maledetto capriolo.

Quali animali sono nemici, sul fiume?

I cormorani, perché rubano pesce. Anche se di pesce ce n’è, se lo sai prendere. Quindi, niente scuse. E poi ci sono gli aironi, che sono assassini.

Mappa del bacino idrogeografico della provincia del Verbano Cusio Ossola

Mappa del bacino idrogeografico della provincia del Verbano Cusio Ossola

Gli aironi?

Mai, mai, mai. Mai aiutare un airone ferito. Mai avvicinarsi a uno di quegli uccelli. Il becco è un punteruolo. Ti può trapassare il braccio da parte a parte, e non dico per dire. Gli aironi un tempo mangiavano le rane, ma le rane le hanno uccise i diserbanti. Allora gli aironi sono passati ad attaccare i pesci, per istinto. Poi non li mangiano, li beccano e basta, li trafiggono. Fino a quando lo fanno ai pesci, è un conto. Se lo fanno a te, è un brutto affare. Quindi: occhio a quei cazzo di aironi. E scusa per la parolaccia. Te lo dico come se lo dicessi a mio figlio.

Hai un figlio?

Sì. È un ragazzo intelligente, ma alle trote ha sempre preferito le ragazze. E al suono del fiume preferisce quello della batteria! Ha imparato dal batterista di Mina. Ora insegna percussioni ed è felice. Ognuno ha il suo carattere. Gli uomini sono come gli alberi. Ciascuno è fatto di un legno diverso, non esistono due legni uguali. Un legno buono per fare assi non va bene per essere intarsiato, e viceversa.

Ruccio, che con il legno ci sa  fare, e il suo elegante portacanne da auto

Ruccio, che con il legno ci sa fare, e il suo elegante portacanne da auto

Cosa ne sai tu di legno?

Studiavo Economia e commercio in università. Un giorno mio padre e mio fratello mi dissero che avevano bisogno di una mano in laboratorio. Papà era ebanista. Sono andato a dare una mano, ed è andata a finire che ho lavorato lì 40 anni. Disegnavo mobili, li tagliavo, li assemblavo, li vendevo. Abbiamo anche aperto un negozio. Ora col legno realizzo solo alcuni portacanne e le arnie per le api, che sono la mia passione. Oltre alla pesca. Anzi, ora se non ti spiace vado a pescare.

Grazie Ruccio.

Ci vediamo presto, ti aspetto in valle. Però prima voglio sistemare una cosa: ti ho detto una bugia.

Quale bugia?

In realtà, ogni anno trattengo un pesce. Uno solo. Sempre una fario e sempre sopra il chilo e mezzo. È per mia suocera, che la vuole cucinare. Prima lo impari e meglio è: alla suocera non si può disobbedire.

 

Chi volesse andare a lezione da Ruccio, telefoni al lago Mittagsee e chieda informazioni: 0324 243054 / 347 5447210. Il lago si trova a Domodossola (VB) in Regione Boschetto numero 23. Web: www.mittagsee.com

3 Comments

  • Edoardo ha detto:

    Grande Franco!

    Se possibile ti posso chiedere in PM i contatti del Ruccio?
    All’apertura vorrei tornare a frequentare il Toce che è il fiume del mio Nonno ma la passione per la pesca è arrivata che lui era già andato via….

  • Michele Gozzi ha detto:

    Complimenti a voi, per aver riportato, l’umile e ricco pensiero, di un’autentico istruttore. Io l’ho condiviso con un altro saggio di questo appassionante mondo, da cui attingo a piene mani; mi ha chiesto di contattarlo, quindi chiedo a voi di portargli i saluti di Marco Maria Carignani.

    Cordiali saluti
    Gozzi Michele

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