Intervista a Mario Narducci

Pesca da sempre e fin da giovane si appassiona allo spinning illuminato dagli articoli dei pionieri italiani di questa tecnica fino a diventare presidente dello Spinning Club Italia nel 2009. Nei primi anni ’90, con la storica rivista Spinning diretta da Renzo Della Valle si è iscritto al sodalizio e da lì a breve ha fondato con Cesare Lorandi la sezione SCI di Lodi. Rivolge subito la sua attenzione alla salvaguardia dell’ambiente e dei predatori autoctoni con il progetto marmorata e altre azioni mirate alla protezione del luccio. A partire dal 2000 collabora con la rivista Il Pescatore e altre testate di interesse alieutico.

Da quanto peschi?
Dal 1974, convinto e affascinato dagli scritti di Gian Domenico Bocchi.

Che tecniche pratichi, in genere dove e rivolte a che pesce?
Non pratico né una singola tecnica né mi rivolgo a una sola specie, sono al contrario l’esatto opposto di qualsiasi “specialista”. Mi piace frequentare ambienti vasti e variegati dove sono presenti svariate tipologie di pesci predatori obbligati e facoltativi. Mi dedico indifferentemente a ciascuno di essi guidato dalla stagione, dalle condizioni ambientali e dal “senso dell’acqua”, ossia quella strana cosa – che potremmo definire esperienza interiorizzata – che di fronte a una situazione pratica di pesca ti suggerisce come, dove e a cosa indirizzare i tuoi tentativi.

Qual è la tua tecnica preferita e perché?
Come dicevo non ne ho una. Posso precisare che l’ambiente che più frequento è il grande fiume del piano dove è più facile trovare occasioni per sviluppare emozioni intense e particolari. Ad esempio quest’inverno abbiamo approfondito e in larga parte scoperto la possibilità di praticare lo spinning con straordinari risultati nei confronti del barbo europeo.

Quanto tempo riesci a dedicare alla pesca?
Alla pesca “pescata” non molto, forse in media un’uscita ogni 2-3 settimane. Invece ogni giorno devo trovare il tempo per seguire la molte incombenze legate alla gestione di un Club nazionale con 25 sezioni provinciali come lo SCI.

Cos’è per te la pesca?
È la possibilità per la propria persona di vivere un’esperienza positiva di contatto con la realtà naturale, potendo condividerla con altri amici -come state facendo voi stessi del resto- con in più un’altra dimensione: se davvero questa esperienza significa qualcosa per il proprio cuore e se si ha l’intelligenza e la lealtà di riconoscere come tale esperienza sia “insidiata” e messa a rischio di impoverimento da ogni parte (trattiamo ancora oggi troppo spesso gli ecosistemi acquatici e i loro abitanti, non come un bene di tutti da utilizzare con rispetto per la nostra e le generazioni future, ma come un bene di nessuno su cui chiunque ne abbia la forza economica e/o politica si sente autorizzato a mettere le mani per sfruttarli senza troppe cerimonie a fini personali), ci possiamo rendere conto di quanto sia necessario assumerci la responsabilità di difendere tali habitat e di come questo sia possibile solo attraverso l’unione di quanti sono pervenuti a questa consapevolezza. In questo sta l’essenza dello SCI, fondato da Roberto Cazzola nel 1980: uno strumento che consenta di dare voce a questa esperienza nelle sedi istituzionali dove si gestiscono le acque e di fare alleanze -anche ardite come quella col WWF- con altri soggetti sensibili alle medesime esigenze. La funzione di Sentinella Ambientale che il pescatore evoluto può assolvere serve all’intera società e lo SCI lavora globalmente in questa direzione. La battaglia in termini culturali, educativi e pure concreti è ampia e c’è spazio per tutti: avete piacere anche voi di creare là dove siete una sezione SCI?

Ti ricordi il primo pesce che hai preso?
Un cavedano di 14 cm preso con un rotante del n° 2 sul fiume Marecchia nell’entroterra di Rimini dove la mia famiglia era in vacanza.

Quali sono i tuoi record attuali?
All’inizio della carriera di ogni lanciatore è naturale puntare a prender pesci in buon numero poi a un certo punto si inizia a trascurare la quantità badando alla qualità e dimensioni delle catture. Alla fine poi ci si svincola anche da questa “ossessione” e si comincia a pescare in libertà, per il piacere di farlo senza guardare troppo ai risultati concreti, sentendosi talora appagati anche se non si prende nulla e in fondo io credo e spero di essere ormai pacificato in questa dimensione “intima” della pesca. Tuttavia capisco che – specie per chi è agli inizi – avere la rassicurazione da parte di un “vecchio” sui sostanziali risultati conseguibili con lo spinning è importante. Ricordo ancora con piacere e nostalgia una delle prime volte in cui mi ero recato nel basso Adda armato solo di cannetta da spinning e rotanti. Tutti i numerosi pescatori presenti (era in corso la risalita dei ciprinidi dal Po per la frega) praticavano con incredibili risultati la “passata” coi bigattini e io mi sentivo incerto e a disagio nei loro confronti. A un tratto avevo intravisto un anziano pescatore, dalla pelle rugosa e cotta dal sole e i capelli candidi il quale, armato di una corta cannaccia da fondo e un mulinello di plastica che si sgranava quasi a ogni giro, stava pescando pacifico lanciando e rilanciando un Martin vespa da 6 grammi. Lo avevo avvicinato ponendogli una domanda ingenua e sincera: “Abboccano i cavedani al cucchiaino?” e quello di rimando con un forte accento emiliano: “Ma non lo sai che il cucchiaio è la “morte” del cavedano?” e aveva pienamente ragione… Provo allora a dire qualcosa che – ripeto – rappresenta uno standard “normale” per qualsiasi lanciatore con anni di attività alle spalle SE si sono salvati ambienti e pesci (il migliore dei lanciatori non prenderà nulla pescando nel deserto). Partendo dagli avversari classici mi vengono in mente: una marmorata maschio di 82 cm, una fario di torrente da 51 cm, un luccio di fiume da 105 cm, una “cavedanessa” (sono le femmine a diventare più grandi) da 55 cm, un persico reale preso con uno spinnerbait bianco da mezza oncia da 48 cm, qualche cheppia intorno ai 54-55 cm, un bass di 48 cm (la specie non mi appassiona particolarmente). Fra i pesci alloctoni di recente introduzione: un siluro da 205 cm (pescando da riva i più grossi li ho persi), un aspio da 82 cm, un perca da 76 cm. Fra i predatori “facoltativi” non posso non citare le pescate memorabili a barbi europei (fino a 74 cm) d’inverno e a scardole d’estate (troppo divertenti con rotanti e piccoli minnow). Più saltuarie anche se parimenti copiose quelle a breme, simpaticissime poi quelle a persici sole con gomma microscopica, per arrivare alle catture decisamente saltuarie ma regolari in pratica di qualsiasi altra specie (è di ieri un amur sugli 80 cm preso con un lipless da 11 cm). Infine nello spinning marino mi sono dedicato anche per questioni logistiche (risiedo lontano dalle acque salse) alla specie più semplice da insidiare il barracuda mediterraneo, dove per il momento mi sono fermato a 101cm. Dal punto di vista dei risultati concreti a me viene il paragone fra lo spinning e la montagna: è un tipo di pesca che richiede fatica a ogni passo con risultati mai garantiti ma compiuto un certo cammino si possono raggiungere vertici che altre tecniche non permetteranno mai in una vita. Provare per credere…

Cosa ne pensi della gestione delle acque in cui peschi?
Non sarei impegnato nello SCI se pensassi che non solo le acque che frequento ma circa tutte le acque nazionali potrebbero essere gestite più o meno meglio. Le generazioni passate di pescatori hanno goduto di un patrimonio naturale anche cospicuo che si è andato erodendo nel tempo. Purtroppo oggi a noi tocca una alternativa secca: o accettare le briciole che ci lasciano, rassegnandoci a pescare all’estero per cogliere fino in fondo certe soddisfazioni alieutiche, o prendere coscienza che anche da noi ci sono acque di ogni tipo e di qualità purchè siano ben gestite e salvaguardate e quest’opera non possiamo più delegarla ad altri bensì occorre che ci si unisca in associazioni per collaborare e sollecitare gli enti preposti a impegnarsi in tale direzione. In questo senso sta il porsi dello SCI con l’affiliata Esox Italia, che dopo la firma dello storico accordo nazionale col WWF e l’ingresso in F.I.P.S.A.S., a breve firmerà un’intesa collaborativa con le principali associazioni di pesca specialistica (CFI, ANBB, IBA, UNPeM, ass. per il Mare, Spinning Marino, Balck Bass and co., LBFI).


Catch&Release si o no? (Su quali specie e per quali motivi)
Il catch and release non deve diventare un mito né tanto meno una giustificazione come per quei lanciatori disonesti che pescano intenzionalmente le marmorate durante frega giustificandosi poi con la scusa che tanto le rilasciano… Un ambiente sano e ben popolato può sopportare un certo prelievo di pesce, d’altra parte è per lo meno discutibile rilasciare specie alloctone invasive in ambienti dove persistono buone popolazioni di quelle autoctone. In altri termini non si può parlare con serietà di C&R se non si inquadra la pratica non sulla gestione della singola specie ma dello specifico ambiente. Qui l’ultima parola è giusto che sia lasciata agli ittiologi.

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