Intro.
Impossibile. Molte volte davanti a certi racconti la reazione è impulsiva, la logica prevale ed il giudizio è perentorio. Liquidiamo quotidianamente storie, aneddoti, immagini, come “fake” e nella maggior parte dei casi abbiamo ragione. E’ un’epoca in cui è particolarmente facile camuffare il falso per vero. Le immagini statiche possono essere ricreate al computer con un livello di perfezione altissimo, ma ormai anche i video potrebbero essere completamente frutto di computer grafica e non sapremmo distinguerli da un live… potremmo vedere una guerra al telegiornale, magari in un qualche paese remoto, per poi scoprire che era un film d’azione fatto in studio.
Da una parte sappiamo che l’umanità ha potenziali di conquista sempre più straordinari, dall’altra dubitiamo di essere mai stati sulla luna; ci spaventiamo per epidemie globali che forse non esistono, siamo pronti a pagare di più per cibo chilometro zero, diffidiamo di quello che mangiamo, dell’aria, dei preti, dei giornali, dei politici, della scienza… è l’esperienza che ci insegna che l’uomo tradisce l’uomo, che l’inganno è un gioco diffuso e quando il profitto alimenta l’inganno, l’inganno è la regola.
I nostri tempi hanno visto l’avvento del mondo digitale, sovrapposto e intrecciato al mondo analogico. Nel parlare comune, digitale si diluisce e mescola con la definizione di “virtuale”… in qualche modo ci suggerisce una contrapposizione a “reale”. Non è corretto, infatti anche digitale o virtuale sono reali, eppure in qualche modo resiste ancora, tra coloro che hanno vissuto un’epoca analogica, una naturale contrapposizione tra “reale” e “digitale” che tende ad attribuire al reale un valore di verità più alto. Del resto essere scettici è un dovere quando non siamo certi della fonte dell’informazione e l’informazione digitale, lo abbiamo detto, è la più facile da mistificare.
Se la fonte dell’informazione fosse un pescatore, categoria di millantatori per eccellenza, lo scetticismo sarebbe il minimo… se poi l’informazione ricevuta fosse inverosimile, avremmo una quasi certezza della menzogna.
Così cestiniamo come panzane moltissime notizie di pesca e pescatori; a maggior ragione quelle che ci porta il vento digitale. Chissà a quante notizie inverosimili vere non abbiamo creduto e di quante notizie plausibli false ci siamo convinti.
Per essere creduti diventa essenziale essere credibili, nel senso di autorevoli, onesti, limpidi, attendibili; la credibilità si costruisce con la sincerità nel tempo, è un rapporto di fiducia che si consolida giorno dopo giorno o, nel caso di un blog di pesca, articolo dopo articolo, pesce dopo pesce, misure esatte, racconti fedeli, passione messa a nudo.
Due anni fa raccontavamo una cattura che aveva qualcosa di straordinario: un siluro oltre il metro e ottanta, preso da riva, con attrezzatura leggera in poco più di mezz’ora di lotta al limite. Nonostante ci fossero testimoni e nessun secondo fine nella nostra storia, alcuni la giudicarono “impossibile”, dandoci in altre parole dei bugiardi. (I commenti sono ancora in fondo a quell’articolo… N.d.R.) Bugiardi: intollerabile offesa per noi paladini della pesca sincera che combattiamo per risollevare la reputazione bistrattata della categoria, per noi che della pesca cerchiamo di cantare i valori più alti al di là delle vanterie e delle catture.
Siamo certi di non essere i primi a fare catture simili in simili condizioni… siamo anche certi di essere estremamente credibili per l’onestà di ogni nostra cattura, di ogni nostro fiero cappotto, di ogni conquista e di ogni fallimento, di ogni foto ed ogni centimetro dichiarato o deliberatamente omesso.
Lo scetticismo è il mare tempestato in cui navighiamo, ma per chi sa trovare la giusta rotta speriamo di essere sempre un porto su cui contare, in cui trovare rifugio dalle onde di menzogna più alte, dalle raffiche di astio e falsità che tempestano il web.
Oggi raccontiamo di una cattura avvenuta il 27 dicembre scorso, in compagnia di due amici pescatori: Paolo Goldaniga e Giuseppe de Lalla. Una storia di pesca come altre, una giornata di pesca come tante… semplicemente con un epilogo straordinario.
Un altro siluro da riva, parecchio più grosso di quello preso due anni fa, ma con attrezzatura ancor più leggera. Impossibile?
Ha piovuto, ha piovuto moderatamente ma su tutto l’arco alpino. Il timore è quello di trovare il fiume in piena, ma ci proviamo lo stesso, abbiamo addosso la febbre da aspio! Natale è passato da poco, ma andare a pescare è sempre il regalo più bello. In macchina con me ci sono il mitico “Pol” Goldaniga e il suo amico, l’esimio avvocato De Lalla, direzione Po, obiettivo aspioni da riva!
La ricerca degli aspi – Prima Parte.
Attraversiamo il nebbioso ponte sul grande fiume e tiriamo un sospiro di sollievo: i livelli sono ancora abbastanza bassi e l’acqua ha un colore ancora abbastanza limpido! In breve dopo una grappa e un selfie, stiamo camminando lungo la riva, tra battute goliardiche e grinta a profusione, ci dirigiamo verso uno dei miei “hot spot” preferiti, scoperta frutto di lunghe pescate invernali e preziosissime condivisioni con altri amici pescatori.
Lanciamo i nostri artificiali lontano, oltre il freddo e la pioggerella che cade. Paolo prende! Aspio. Passa poco tempo e prendo anche io, poi è la volta di Giuseppe. Poche catture, ma gli aspi ci sono e ci divertiamo. La taglia non è male! Paolo ne prende più di me, intuisce esca giusta e traiettoria giusta: mago maledetto!
Pioggia e freddo non ci fermano, ma quando le lancette dell’orologio indicano l’ora di pranzo siamo felici di dirigerci verso una trattoria: camino acceso e una bottiglia di gutturnio sono il paradiso.
A fatica ci congediamo da caffè, dolci e amari… tuttavia la ricerca dell’aspio leggendario ci attende e non possiamo tirarci indietro!
Il fiume ha toni più cupi. Torniamo a lanciare nello stesso tratto della mattina, ma le condizioni stanno cambiando, nuova acqua scende con la corrente… acqua velata, si alza piano il livello, vediamo diverse foglie scendere sulla superficie. Facciamo tempo a prendere ancora un paio di aspi nella prima ora del pomeriggio, poi non sentiamo più nulla e vediamo il livello alzarsi sempre più velocemente. E’ il Po, non un torrente, per cui la piena monta relativamente lenta, un centimetro alla volta, ma è evidente: sta montando. Iniziamo a veder scendere nella corrente: rami, palloni da calcio, bottiglie, molte foglie; segni inequivocabili. Aspi spariti.
Io e Paolo ci guardiamo e concordiamo: <E’ finita la festa per gli aspi in questo punto, sarebbe da pescare siluri!> – <Condizioni perfette da siluro!>
Ma stiamo pescando aspi ed abbiamo solo attrezzatura da aspi. Personalmente sto usando la mia fedelissima GLoomis NRX 5/8 oz da 6 piedi e 6; con lo stella 4000 bobinato con kairiki 0,15mm; finale fluorocoated 0,28, moschettone VMC e un pesciolino di legno da 8,5 cm molto pesante con due ancorette: in pancia VMC del 6 e in coda VMC dell’8 con doppio split.
Il pomeriggio ci consegna ore di cappotto, manca poco al tramonto e stiamo per arrenderci. Mi stacco un po’ dai miei soci, vado a monte una trentina di metri, in testa al lungo sabbione in cui siamo, dove mi sembra di vedere un gradino segnato sulla corrente in mezzo al fiume.
Il Siluro impossibile – Seconda Parte.
Lancio poco a monte del gradino, lascio affondare, inizio il recupero. Alzo la punta della canna al ritmo che mi piace, quello che anima il pesce finto come foraggio in difficoltà… al terzo movimento la canna si piega, d’istinto ferro, la frizione canta. Urlo agli altri: <Siluroooo!> Lo capisco dal peso in canna e dal fatto che “pompa” mentre sbobina.
Sono rilassato, capita abbastanza di frequente… se è un siluro piccolo è una bella lotta, se è troppo grosso invece di solito rompe qualcosa e lo perdi… ma ogni volta io ci provo, provo a gestirlo al meglio, provo a tenere tutto al limite. Pescando così ne ho già presi diversi piccoli, un 140, un 171 e anche un over 180… diversi big li ho persi dopo lunghe lotte.
La prima fuga comincia a durare troppo… mi costringe a camminare verso valle nel fiume. <Ragazzi, permessoooo… treno in canna!> – scherzo mentre gli passo davanti, loro hanno dovuto recuperare e lasciarmi passare, fanno il tifo per me.
Piano piano arretro e mi porto sulla sponda, con i piedi sulla sabbia per poter camminare più velocemente verso valle, dove il treno inarrestabile sta andando. Stringo ancora un pelo la frizione, un poco meno di quello che ritengo il limite di rottura del finale, il limite lo cercherò tra un po’, quando le fughe si fermeranno, sfiorando la bobina con la mano con la massima delicatezza e sollevando piano la canna per poi abbassarla recuperando nel tentativo di accorciare le distanze.
Intanto il treno va veloce, la bobina del mulinello comincia ad essere pericolosamente vuota, corro lungo la sponda per recuperare velocemente decine di metri, ma tenendo sempre alta la tensione sul filo e la canna sempre in piega, in piega fino al manico. Se non gli faccio fare fatica non finirà mai. Erano circa le quattro e quarantacinque quando è abboccato, adesso sono le cinque passate, sono centinaia di metri più a valle di dove è abboccato e comincio ad essere nervoso, più mi costa tempo e fatica, più desidero prenderlo! La concentrazione è fondamentale, in passato dopo mezz’ora di lotta una leggerezza come tenere troppo la bobina o muovere bruscamente la canna ha portato a rotture. Non bisogna mai mollare e nel mentre sperare nella buona sorte… ne serve tanta! Non deve abradersi il sottilissimo finale dello 0,28; il filo teso per decine di metri sott’acqua non deve incontrare ostacoli, rami, sassi… nulla; deve andare tutto liscio.
E’ un esercizio estenuante, a fatica di tanto in tanto avvicino il grande pesce alla riva, dove la corrente è più lenta, mi sembra stanco… ogni volta lui riparte, ritorna in corrente e riprende decine di metri di filo in un attimo. Lo Stella, il mulinello “rolex”, sfriziona come fosse pesca tropicale… e dopo mezz’ora di questa lotta comincia ad essere caldo e meno fluido, mi fa preoccupare con brutti rumori e saltelli nello sbobinare.
Il sole è tramontato, le braccia mi fanno male. Pol e Giuseppe mi danno la carica, invece di essere scocciati continuano a motivarmi a seguire i movimenti del filo e ad incitarmi! Di fatto gli sto “rubando” l’ultima mezz’ora di pesca, ma loro non sembrano pensarci anzi, vogliono vedere quanto è grosso… <E’ grosso fidatevi, non lo abbiamo ancora visto ma lo sento da come pesa e riparte…>
Siamo scesi quasi un chilometro… ormai è praticamente buio, io tengo sempre la canna alta e mi tengo lontano dal pesce, di modo che la frizione e la piega della canna lavorino al meglio, tuttavia cerco disperatamente di avvicinarlo alla riva. Sono stanco ma determinato come poche volte in pesca. E’ passato molto tempo, molti sforzi… ormai lo voglio, lo voglio disperatamente; è un istinto forte di predatore, la preda è grande e deve essere mia.
Il siluro è a valle, fuori dalla corrente e piano piano arriva più vicino; Pol è a valle, davanti al bestio, lo aspetta in acqua. Mi tengo a distanza di parecchi metri, non vedo quasi nulla ma so dov’è il mio filo, dov’è il pesce e dov’è Pol. Grido disperato: <Poooool, prendilooooo!> lui mi tranquillizza, mi dice che lo vede, che c’è quasi, di stare calmo, di fare piano… io sono terrorizzato… è un attimo perderlo. Si potrebbe aprire un’ancoretta, potrebbe spezzarsi il moschettone o il finale… le forze in gioco sono tremendamente impari. <Pooool, xxxxx, xxxxx, xxxxx … prendilooooo!> Guaisco come un cane ferito… vedo spruzzi d’acqua alzarsi sull’acqua scura, vedo Pol agitarsi… Si dimenano nel buio e nel fango, lo prende e lo perde, bestemmio e finalemente, dopo oltre tre quarti d’ora di tensione, sento: <Preso, preso, preso, presooooo!>
Apro l’archetto, apro un grande abbraccio e corro, corro incontro all’amico che sta issando sul fango della sponda un grande pescione bavoso…
Epilogo.
E’ una bella impresa, io tremo. Stendiamo con cura il metro due volte dall’estremità della bocca verso la coda… la prima volta segna 197 centimetri, la seconda 196.
E’ grassissimo, con la pancia gonfia, si riconoscono quasi le sagome di due grossi pesci, forse aspi, nello stomaco. Peserà diverse decine di chili.. non saprei dire quanto, ma è un colosso. Non un gigante della sua specie, affatto, ma un gigante per l’attrezzatura che l’ha preso!
Con un telefono facciamo luce, con l’altro le foto.
Lo rilasciamo. Siamo in basso Po, nessun altro epilogo avrebbe senso, siluro o non siluro.
Sono coperto di fango e muco, ma sono davvero felice. Ogni giorno vengono presi pesci siluro ben più grossi, oltre i due metri e mezzo, ma questo è stata un’impresa al limite dell’impossibile.
Grazie Paolo, grazie Giuseppe e grazie grande Fiume Po! Alla prossima avventura. Rock’n’Rod
Grande Pietro!
Il posto mi sembra sempre quello, stesso salto di profondità? Non hai controllato se avesse un Ardito da 12 doppiato in bocca? 😀
A presto!
Ahahhaha! Ciao Diego, hai proprio ragione… Non ho controllato ma avrebbe potuto essere lui 😉A presto! 👍👊 Rock ‘n’ Rod
Pietro Invernizzi, thank you for your blog post.Really thank you! Awesome.