Pesce Serra da Record. Spinning alle Canarie

paolo goldaniga pesce serra record big

paolo goldaniga pesce serra record big

Pubblichiamo con grande piacere questo racconto dell’amico e compagno di pesca Paolo. Una storia di pesca che valeva la pena di essere scritta e che sarete felici di leggere! Una storia di pesca in perfetto stile#RocknRod #AnonimaCucchiaino

 LAVA, SPUMA, SERRA  di Paolo Goldaniga

E’ circa mezzanotte e mezza quando finalmente le spire del trecciato si serrano sullo spezzone di fluorocarbon in modo perfetto, quasi clinico, una piccola speranza in più nella grande incertezza che accompagna il pescatore d’acqua dolce che affronta per le prime volte l’Oceano.

Come se quell’unico nodo nel finale della lenza potesse in qualche modo essere la chiave di volta per interrompere cinque maledetti giorni di lanci a vuoto, come a voler pulire la coscienza ed avere la certezza di non aver lasciato nulla al caso. Cinque giorni a vuoto. Domani è l’ultima occasione. 

La sensazione del nuovo, il brivido della scoperta, la speranza di incontrare un pesce da sogno, queste sono le emozioni che ogni pescatore prova viaggiando e cercando di dormire prima di ogni nuova esperienza sull’acqua, questa è la passione che muove tutto.

Sono le 6.15 quando, a furia di fissarla, la sveglia decide di suonare e scrollare dal sonno anche la Judi; una frugale colazione in religioso silenzio e siamo in macchina.

Attraversando l’isola verso nord ci godiamo il sorgere del sole sui vulcani di Lanzarote, la strada scorre tra i crateri e le colate laviche nel contorno della spuma bianca del mare. A basso volume suona “Have you ever seen the rain” dei Creedence Clearwater Revival e quell’ora di viaggio si imprime indelebile e nitida nel nostro libro dei ricordi.

 

Arriviamo a Orzola giusto in tempo per l’apertura di uno dei pochi locali del paese, pronti per onorare le tradizioni dei pescatori del luogo e consumare la tipica colazione Canariana: Panino con calamari fritti e salsa d’aglio, innaffiati da una Tropical ghiacciata. Il Benessere più totale.

Puntuale come un orologio, il piccolo traghetto leva gli ormeggi e punta la prua verso il largo, costeggiando l’imponenza dei bastioni di roccia che cadono nel mare, superiamo il promontorio più a nord dell’isola per poter finalmente osservare la nostra meta: Isla de Graciosa.

La Caleta del Sebo ci accoglie con le sue basse casette bianche e la calma senza tempo che aleggia nei villaggi di pescatori, un malandato gatto di porto si struscia sulle mie gambe mentre due gabbiani pare che ridano di noi dall’alto del pennone di una barca a vela.

Federico sembra provenire direttamente da una pellicola di Indiana Jones, divisa militare color Kaki, zaino da spedizione desertica e una splendida quanto impolverata Jeep degli anni novanta. Dopo una vigorosa stretta di mano, assicuriamo le canne sul tetto del fuoristrada, dando quel sapore ancora più “wild” a questa nuova esperienza canariana.

La Graciosa non ha strade asfaltate o meglio, strada, perché è una sola e percorribile solo dai 4×4; sballottati dalle buche ci godiamo gli affascinanti racconti della vita di Federico, tra legione straniera, Marlin da record e droni per studiare la vita delle aquile pescatrici.

“Per pescare in oceano serve ispirazione ed ogni persona ha la propria fonte” questa è la sua filosofia. L’odore dolciastro del fumo si mescola a quello più delicato della salsedine portata dal vento mentre la jeep trotta lungo le pendici del vulcano per arrivare finalmente al mare.

L’oceano è semplicemente meraviglioso e mentre sleghiamo le canne dal tetto non riesco a levare lo sguardo dalla linea che divide la spuma bianca delle onde dal blu vivo del mare, in cerca di qualcosa, qualsiasi cosa.

Stiamo già volando sulle rocce ma Federico ci ferma: <Dovete osservare le serie!>. Ci spiega infatti che per pescare in sicurezza è importante fermarsi qualche minuto ad osservare le onde, esse infatti arrivano in serie ed una ogni tot è molto più alta e potente delle precedenti. Il rischio è reale e capire il mare può davvero essere cruciale.

Fidandomi della buona sorte promessami, mi lascio convincere e, sfidando una statistica drammaticamente a sfavore dei pescatori e a favore dei pesci, accendo perfino la GoPro che ho in testa.

Un grosso Walking The Dog scorre nel robusto moschettone e i preparativi sono finiti, finalmente sono di fronte al mare a giocarmi l’ultima carta concessami da questa vacanza.

Il primo lancio è come un interruttore, una volta premuto accende la speranza, la concentrazione, libera il flusso di energia che alimenta i sogni.

Il mio artificiale vola contro il vento ed atterra oltre la schiuma bianca delle onde, non lo vedo ma so comunque come farlo lavorare, la canna è bassa sull’acqua e scandisce con ritmo i movimenti che lo animano almeno quaranta metri più in là.

La botta arriva praticamente subito, la canna si flette completamente verso destra e avverto due poderose testate alle quali rispondo con un’altrettanto poderosa doppia ferrata!

<Ce l’ho, ce l’ho!> – grido a Federico, mentre la frizione concede treccia alla prima fuga, la regolo e alzo la canna per saggiare le dimensioni del pesce e, con un misto di gioia e terrore, realizzo che è pesante, non fortissimo ma molto pesante.

In momenti come questi la concentrazione è totale, quasi religiosa, si scava nella propria esperienza per non sbagliare nulla, per non lasciare niente al caso sperando che dall’altra parte per una volta tutto vada per il verso giusto.

Il grosso pesce sta sfogando al largo tutta la sua rabbia, avverto sul fusto della canna il nervo delle sue potenti codate che cercano il blu; bramo di vederlo e lo forzo per rallentare la sua fuga, sono in silenzio, recupero e pompo, fuga, recupero e pompo.

Passano circa due minuti quando il grosso pesce decide di mostrasi: a circa 20 metri da me, vedo emergere e scuotere la testa di un pesce serra di proporzioni esagerate. Impreco, imprecare nella pesca serve sempre, sia nel bene che nel male, ne sono certo!

Cambia direzione e riprende a correre, lo controllo e inizio a valutare la via migliore per portarlo verso riva, senza farlo finire nelle rocce vulcaniche…  dei taglierini per il mio filo trecciato. Sulla destra, a 15-20 metri da riva, ci sono una serie di rocce semi-affioranti, sulla sinistra, ma più distante, il proseguo della scogliera dalla quale sto pescando; devo assolutamente portarlo nel corridoio naturale che fa la corrente praticamente sotto ai miei piedi. Tutto abbastanza “facile”.

Emerge di nuovo, stavolta molto più vicino, non salta ma scrolla metà corpo fuori dall’acqua a meno di 15 metri e riesco a vedere abbastanza bene che l’ancorina di coda dell’esca è completamente all’interno della grossa bocca, prendo ulteriore coraggio e cerco di convincerlo della validità delle mie ragioni. Sembra ascoltarmi, gira verso sinistra e punta la sponda, lo cerco nella schiuma delle onde e d’un tratto passa esattamente sotto ai miei piedi, lunghissimo, blu, rabbioso e determinato, ma forse un po’ stanco.

In qualche modo riesco a non far strusciare la treccia contro la lava rappresa della riva, mi sposto verso destra e fletto la canna per girargli la testa nella direzione giusta, l’operazione riesce ma lui riparte, quattro codate e si riprende metri preziosi, ma il serbatoio della fortuna non è ancora in riserva. Una grossa ondata arresta bruscamente la sua ultima fuga: è il momento giusto! Pianto i piedi e sfruttando la corrente di entrata con la quale si è scontrato, lo pompo per sdraiarlo alle mie spalle, in acqua bassa.

La forte ondata fa sfilare il serra oltre, fin quasi a una pozza d’acqua dove spero si fermi, ovviamente ciò non avviene e la risacca prova nuovamente a portarlo indietro! In quel momento Federico, con una mossa tanto coraggiosa quando azzardata, afferra il finale in mano e trattiene il pesce impedendogli una nuova fuga; secondi eterni, una via di mezzo tra l’essere rapito dalla bellezza di quel pesce gigante, quasi domato e il puro terrore per quella presa che non promette nulla di buono.

Finalmente vedo la sua mano stringere con sicurezza la coda del pesce per sollevarlo dall’acqua…

Esplodo, letteralmente esplodo di gioia, grido esultando, svuotandomi di tutta la tensione del combattimento! Barcollo, ubriaco di felicità e di adrenalina fino a sedermi su una roccia, un’ondata mi investe ma non me ne rendo conto.

Lo adagiamo in un piccola piscina naturale e realizzo che creatura il mare mi ha concesso di ammirare. Gigantesco, in una parola gigantesco, sontuoso e perfetto come nemmeno ero mai stato capace di immaginare potesse essere un pesce. Sono fuori controllo, al limite tra l’estasiato e il commosso, mentre la Judi sta trotterellando sulle rocce per raggiungermi la incito come se potesse ancora sfuggirmi.

Lo slamiamo e poso con lui, pochi scatti per non causargli un ulteriore stress e sono pronto a ridargli la libertà. Qualcosa però si è spento, il grande pesce sembra inerme, molle, già privo di vitalità; restiamo diversi minuti in acqua cercando di farlo riprendere ma è evidente che ha dato tutto, probabilmente già vecchio non ha retto il suo ultimo combattimento. Il dispiacere è grande ma purtroppo la pesca è anche questo, ci arrendiamo all’evidenza.

Una vigorosa stretta di mano con Federico e un lungo abbraccio alla mia Judi, felice come non mai di aver condiviso con lei una delle più belle esperienze di pesca che mi sia stato concesso di vivere.

Mi isolo qualche istante e ringrazio l’Oceano.

La giornata appena iniziata prosegue lungo le spiagge bianche della Graciosa, i canali scavati dal mare nella lava e le aquile di mare, la pesca è passata in secondo piano, tutto è più bello dopo quello che è successo.

Il pomeriggio volge al termine e anche i nostri stomaci ce lo fanno notare! Passiamo dalla confraternita dei pescatori a lasciare la nostra preda perché non venga sprecata; un omino basso e abbronzato emerge dal vapore di un cella frigorifera e soppesando con stupore il pescione, lo posa sulla bilancia. 10 kg tondi! Mi becco una poderosa pacca sulla spalla che incasso con orgoglio.

Saltiamo di nuovo sulla Jeep e in pochi minuti siamo a La Caletilla, una piccola locanda frequentata principalmente dagli isolani, Federico ordina “Il solito” e tre birre ghiacciate.

Il cibo dopo una giornata di pesca ha un sapore speciale, il polpo alla Canariana invece manda letteralmente in paradiso. La giornata finisce così, con il tintinnare delle nostre birre in un brindisi che sa di vittoria!

 

In Rod We Trust

Rock’n’Rod

See You Spoon

 

 

 

1 Comment

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *