Pesca ed industria del tonno, continuare la mattanza! Una rivoluzione di latta.

Foto di mattanza spagnola, di Antonio Ganzalez Caro da notey.com
Foto di mattanza spagnola, di Antonio Ganzalez Caro da notey.com
Foto di mattanza spagnola, di Antonio Ganzalez Caro da notey.com

la-rivoluzione-di-latta, copertina libro Foto di mattanza spagnola, di Antonio Gonzalez Caro da notey.com

Durante la Primavera molti giornali hanno scritto a proposito della possibilità che riaprisse la “tonnara” di Favignana. All’inizio di Agosto, in prima serata al telegiornale nazionale, il TG2 per l’esattezza, hanno parlato di questa concreta concreta possibilità: la “mattanza” potrebbe presto ripartire, seppur con limitazioni sul numero delle catture e nuove modalità sulla soppressione dei tonni che dovrà essere “meno cruenta”. Questo sarebbe possibile grazie ad una popolazione di tonno rosso finalmente in aumento e forse, ma solo forse, fuori pericolo di estinzione dopo gli ultimi drammatici anni ed andrebbe a favore della direttiva europea che vuole salvaguardare i metodi tradizionali di pesca dal forte valore storico.  Per l’isola questo “rito secolare” avrebbe anche una valenza turistica da non sottovalutare.

Già a Febbraio Repubblica.it scriveva:

“L’isola di Favignana si candida ad avere la tonnara più sostenibile d’Europa. Dopo una lunga pausa tornerà la “mattanza” ma senza arpioni e sangue in mare. Restituire la tonnara ai tonnaroti e ai favignanesi è il progetto che si propone il Comune di Favignana che cavalcando l’onda dell’aumento delle quote tonno del 20 per cento, previsto per il triennio 2015-2017 da Bruxelles, ha chiesto alla direzione pesca del Ministero delle Risorse agricole di poter riavere le “quote”. Un diritto perso nel 2008 dopo che la cooperativa “La Mattanza”, che aveva in gestione la tonnara, non ha più calato le reti.

Rais e tonnaroti, fermi dal 2007, oggi possono, dunque, aspirare concretamente a ritornare in mare a bordo della “muciara” e dei “vasceddi”, le grandi barche in legno lunghe dai 17 ai 20 metri, lasciando, però, per sempre a riposo quelli che oggi sono attrezzi di archeologia industriale: gli arpioni. La pesca del tonno si prepara a ritornare ma sarà sostenibile e le maestranze avranno il compito di calare le reti e monitorare costantemente i flussi. A essere catturati, con tecniche non cruente ma con una tonnara fissa, saranno esclusivamente i tonni adulti che poi verranno in parte trasferiti in altre sedi per la commercializzazione.”

Immaginiamo che molti animalisti si scaglieranno contro questa idea, accusando la “mattanza” di essere una barbarie, più volte assimilata negli articoli di giornale e nei commenti sul web alla corrida dei tori. Le scene della mattanza sono davvero cruente, per come le conosciamo da foto e video, e chi vi ha assistito di persona ne è rimasto molto colpito. (Vedi questo nostro articolo). Gruppi come “Animal Equity” e molti altri simili (vedi ad esempio questo dossier), puntano e punteranno il dito soprattutto contro la sofferenza inflitta agli animali prima della loro morte, e su questo hanno certamente validi argomenti… l’agonia del grande tonno è lunga e straziante.

Eppure, parlando di pesca professionale in generale e di tonni in particolare, è davvero la mattanza il nemico da combattere?

Mentre enormi pescherecci giapponesi svuotano il mare con tecniche modernissime ed attrezzature degne di sofisticate navi militari, mentre tutte le flotte di pesca commerciale in Italia ed in tutto il mondo ricevono sovvenzioni statali da miliardi di euro e concessioni a praticare pesche fortemente impattanti sull’ambiente, è davvero la mattanza ciò di cui dovremmo preoccuparci? Non potrebbe invece rappresentare quel ritorno alla pesca come approvvigionamento diretto e contingentato, tanto auspicato ed auspicabile per terra e per mare? Potrebbe, oppure no. Dipende come la si vuole praticare.

Stabilimento Florio per tonni a Favignana

Stabilimento Florio per tonni a Favignana

C’è un libro che lessi tempo fa che risulta estremamente interessante su questo tema.

Il titolo è “La Rivoluzione di Latta” – breve storia della pesca e dell’industria del tonno nella Favignana dei Florio, scritto da Rosario Lentini ed edito da “Torri del Vento” nel 2013.

Il libro è una “guida storica”, potrebbe essere una tesi di laurea sulla storia dell’attività dei Florio nell’Isola di Favignana; apparentemente quindi, per i non appassionati di storia, un libro piuttosto noioso e circoscritto ad una piccolissima realtà storica e geografica. In realtà il tema trattato è di grande interesse su scala globale. Infatti, analizzando l’impresa dei Florio a Favignana nel corso del XIX secolo, assistiamo e comprendiamo il passaggio da una pesca condotta e gestita da pochi e rivolta ad un commercio del pescato diretto e limitato nel tempo e nelle distanze, ad una pesca “industriale”, che confeziona in “scatole di latta a lunga conservazione” il pescato e lo distribuisce su vasta scala.

Latte di tonno "Florio" (foto by National Geographic)

Latte di tonno “Florio” (foto by National Geographic)

Quello che cambia con l’avvento dell’era industriale nelle mire imprenditoriali dei Florio, così come in tutte le imprese legate alla pesca in quegli anni, è l’ambizione commerciale! L’inscatolamento e le prime forme di marketing ad esso legate, sono davvero una “rivoluzione di latta” che porta a cercare la massima distribuzione del prodotto, il contenimento dei costi di produzione a favore di un contenuto prezzo sul mercato per poter raggiungere un vasto, vastissimo pubblico. Un circolo vizioso, o virtuoso secondo le aspettative del profitto, che porta l’impresa a cercare numeri sempre più elevati di pescato, creare stabilimenti sempre più grandi ed efficienti e vincere la lotta a colpi di prezzi bassi e distribuzione capillare nell’arena del libero mercato. E’ sbagliata quest’analisi? Dove ha portato la rivoluzione di latta inziata quasi 200 anni fa?

Quanto poco costano oggi le “scatolette di tonno”? Quanto si preoccupa il consumatore medio della provenienza e della qualità di quel tonno?

Immagine tratta da quest'articolo molto interessante: http://www.tuttogreen.it/tonno-in-scatola-fa-male/

Immagine tratta da quest’articolo molto interessante: http://www.tuttogreen.it/tonno-in-scatola-fa-male/

Pagina dopo pagina nel libro si intuisce il cambiamento in atto… nella vita dell’isola certo, rivoluzionata da molto lavoro, nuova edilizia, nuove forme di organizzazione sociale, commerciale, politica, da nuove possibilità di successo e di rovina, ma anche sui banchi delle botteghe di tutta Italia e probabilmente del mondo.

L’argomento trattato dal libro  non è il classico argomento trattato dai libri sulla mattanza dei tonni, ovvero quasi non si parla del rapporto ancestrale tra predatori e prede, tra uomini plasmati dal mare e sfide salmastre, non si parla del ruolo leggendario dei raìs e del valore della loro ciurma, non si dilunga sul significato di quel periodico bagno di sangue animale che ha consentito all’uomo di quella terra di sopravvivere e perfino di vivere; il libro argomenta con una sfilza di numeri e documenti storici l’evoluzione degli stabilimenti, quindi della gestione commerciale della pesca al tonno, sempre più protesa verso un consumo su vasta scala.

La scatoletta ed il suo stabilimento di produzione, anticipavano l’avvento della pesca industriale. La mattanza era ancora il metodo, il più efficace, ma le premesse per una domanda di mercato vorace ed insaziabile erano poste. L’avvento dei grandi pescherecci e del rastrellamento dei mari era solo questione di tempo, di evoluzione tecnologica ed involuzione della coscienza ambientale… Con il benestare della politica, che non ha mai compreso, neppure oggi pare, la miopia dello sfruttamento ad esaurimento di risorse potenzialmente rinnovabili.

Se si contingentasse, si limitasse veramente la pesca professionale,  a quantità, modalità e misure studiate, si avrebbero certo minori consumi, ma a prezzi più elevati ed in compenso l’ecosistema sarebbe in grado di auto-sostentarsi. Si potrebbe e dovrebbe anche promuovere un consumo diversificato delle specie del mare: non solo tonno, salmone, spigola e orata! I pesci sani ed eccellenti da mangiare sono un’infinita varietà, oggi non richiesti dal pubblico e destinati a far farina per allevamenti di altri pesci… un paradosso.

L’uomo tornerebbe ad essere uno dei tanti predatori del mare e non il suo sterminatore. Perché anche se suona poco gentile da dire, i pesci possono essere una risorsa alimentare rinnovabile, se permettiamo loro di crescere quanto basta e quindi di riprodursi sufficientemente.

Foto di mattanza spagnola, di Antonio Ganzalez Caro da notey.com

Foto di mattanza spagnola, di Antonio Ganzalez Caro da notey.com

Riporto qui un passaggio interessante che racconta il cambiamento, liberamente tratto dal libro “Rivoluzione di latta”:

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Bisogna attendere la gestione del gabellotto genovese Giulio Drago, che subentrò a Florio, dalla stagione di pesca del 1860 e fino al compimento del contratto del 1877, per rilevare che l’innovazione era diventata una realtà. Ed è lo stesso nuovo esercente a fornire elementi ulteriori; nel lamentare , infatti, le vessazioni fiscali a cui veniva sottoposto per dazio di consumo l’olio che provvisoriamente si depositava nello stabilimento di Favignana, egli sottolineava che l’utilizzo era esclusivamente quello di <immettersi nei barili o scatole di Tonno>. Dunque, l’avvio della produzione in scatole di latta nelle EGadi, si colloca all’interno del decennio 1860-1869.

Certamente il Drago non ebbe vita facile nel periodo della sua gestione e anche le innovazioni più elementari dovettero trovare forti resistenze:

L’industria della pesca e manipolazione del Tonno trovandosi ancora oggidì allo stato originario de’ secoli passati, per l’avversione che hanno i cosidetti Rais (capi ciurme) alle introduzioni delle riforme, ostinati sempre a seguitare norme lasciate dagli avi, proporrei la promessa di premii di qualche entità agli inventori di nuovi sistemi economici, da sborsarsi dagli esercenti che ne avessero per tre anni sperimentata l’utilità, nella proporzione d’un terzo all’inventore. Tempo verrà, lo spero, che una forza artifiziale supplirà a tante braccia d’enorme dispendio per imprese di tal fatta; forza artifiziale di cui un primo esperimento con felice successo venne introdotto da 8 anni (quindi nel 1862) in quella di Favignana, applicato finora soltanto all’estrazione dalle caldaie del Tonno cotto.

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ex-Stabilimento Florio delle tonnare di Favignana e Formica

ex-Stabilimento Florio delle tonnare di Favignana e Formica

Un altro passaggio è molto interessante perché descrive vividamente la cruda realtà della pesca industriale:

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Stabilimento Florio per tonni a Favignana

Stabilimento Florio per tonni a Favignana

E’ ancora la <La Settimana Commerciale e Industriale> del 1892 a fornire altri dettagli sulle sequenze delle lavorazioni, sugli spazi e sugli ambienti entro i quali si sviluppava il ciclo produttivo:

<Le due grandi barche, che trasportarono i tonni, si collocarono successivamente di fronte allo sbarcatoio. Questo è coverto da una grande tettoia in ferro sostenuta da colonnette. Il pavimento a mattoni presenta una forte pendenza per facilitare il lavaggio. Circa duecento operai lavorano contemporaneamente in questo locale con una celerità vertiginosa. Buttati i pesci dalla barca nell’acqua della spiaggia, vengono immediatamente uncinati in un occhio, legati con corda alla coda, tirati nello sbarcatoio e disposti in tre ordini simmetrici. Appena formata la prima fila, sei operai con un accetta fanno in un attimo quattro tagli: uno per tagliare la testa, la quale vien subito portata via, due trasversali ed uno longitudinale per estrarre  le interiora, le quali da un altro operaio, che accorre istantaneamente con un mastello, vengono portate in apposito locale. Appena sventrato il pesce, vien posto sulle robuste spalle di un uomo, il quale lo trasporta in magazzini dal tetto basso da cui pendono innumerevoli corde, alle quali i tonni vengono appiccati per la coda, perché ne possa colare il sangue per parecchie ore. (…)

Una serie di magazzini è destinata al riempimento delle scatole ed alla conservazione dei prodotti, L’intero stabilimento è illuminato a gas, la cui forza motrice viene utilizzata per estrarre acqua da un pozzo e per altri usi. (…) Aggiungasi a tutto l’anzidetto un grande appartamento per l’amministrazione, le case pel custode ed altri impiegati, ed altro>.

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Spiaggia Praia a Favignana, Isole Egadi

Spiaggia Praia a Favignana

Tornando ad oggi e all’idea di re-introdurre, con le dovute limitazioni ed accortezze, la mattanza a Favignana, io personalmente sono sorpreso nel sentirmi piuttosto favorevole anziché contrario e spiego meglio perché.

Primo perché credo alle parole espresse da Stefano Donati, direttore dall’Area Marina delle Egadi, in Aprile a Lifegate:

“Di per sé una tonnara fissa è il metodo più sostenibile che esiste per catturare i tonni: si prendono solo tonni adulti e che si sono già riprodotti; si evitano le catture accidentali, lasciando liberi gli esemplari sotto taglia o le specie non bersaglio; tutto il processo è facilmente controllabile e monitorabile scientificamente, proprio perché avviene in un luogo prestabilito e in un preciso arco di tempo. In passato solo in Sicilia operavano 65 tonnare fisse. E la risorsa tonno non ne risentiva. E’ stata la pesca industriale delle tonnare volanti a perpetrare la strage e a deprimere lo stock. E da quando tale pesca è stata arginata e regolamentata, la specie è in ripresa.

Secondo, e questo è importante concettualmente,

perché credo che sia ipocrita il desiderio di molti di non vedere il sangue del pescato.

Come accennato in testa all’articolo, non è una singola tradizionale mattanza che crea un danno ambientale, è il sistema di “over-fishing”, di iper-sfruttamento delle risorse ittiche, di pesca industriale eccessiva. Ma quella pesca, la pesca che fa disastri enormi vuotando i mari, è lontana dalla sensibilità comune, mentre il bagno di sangue di una mattanza lungo la costa di una meta turistica  è un cruento spettacolo che scuote le coscienze. Ben venga quindi! Magari qualcuno, scosso dalla violenza che accompagna qualsiasi morte animale, rifletterà sull’origine dei prodotti animali che consuma e cercherà di limitarne l’uso o almeno di sceglierne con più accortezza la provenienza. Gli strumenti e le informazioni per poter scegliere il prodotto più sostenibile oggigiorno ci sono e sono alla portata di tutti. Ripeto: senza ipocrisia! Troppi di noi castrano cani e gatti, magari li scelgono in base alla razza e li acquistano, li separano da genitori e fratelli, li fanno vivere al guinzaglio ed in appartamenti minuscoli, danno loro cibo in scatoletta di dubbia provenienza, eppure sono senza dubbio “amanti degli animali”. Quasi tutti noi consumiamo troppo e male, auto, moto, detersivi, plastiche, pile, cosmetici, carne di allevamenti intensivi, pesci cresciuti a mangimi e antibiotici, gamberi surgelati dell’oceano indiano, pesce in scatola di dubbio contenuto, sushi giappo-cinese e la lista ancora è lunga… Troppi di noi lo fanno, anzi quasi tutti noi lo facciamo, con leggerezza e con spensieratezza, salvo poi scandalizzarci per la corrida spagnola, per la mattanza di Favignana o per quella di Carloforte o magari per gli esquimesi che da centinaia di anni cacciano qualche balena con canoe ed arpioni, ignari delle grandi baleniere giapponesi o norvegesi.

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Foto tratta da CoML.org

Qui nessuno è “nazi-vegano”, anzi, Anonima mangia carne e pesce, pesca e pratica spesso, non sempre,  il catch and release, responsabilmente. Anonima Cucchiaino non scaglia la prima pietra perché sa di essere molto colpevole ed imperfetta sui temi ambientali, sull’eco-sostenibilità. Massima stima, sul serio,  per chi riesce a vivere una vita rispettosa della propria salute e di quella dei propri figli approssimandosi all’azzeramento del consumo delle risorse animali (dubito lo zero sia realmente raggiungibile); massimo rispetto per coloro che riescono ad approssimarsi all’azzeramento dell’impatto ambientale (dubito lo zero sia realmente raggiungibile); soprattutto se costoro non impongono il loro modus vivendi con la violenza, senza rispetto della democrazia e dell’opinione altrui, bensì se divulgano il messaggio con l’operato, con il dialogo e secondo le regole della comunicazione civile.

Con questo lungo articolo, come in altri articoli di questo blog, vorrei solo dire che anche senza essere santi votati alla causa ambientalista, vegana, vegetariana o animalista, possiamo tutti facilmente essere più consapevoli dei nostri consumi, migliorarne la qualità e limitarne la quantità. E questo può essere raggiunto anche essendo noi stessi cacciatori, pescatori, pellettieri eccetera… anzi, per certi versi, è più facile diventare consapevoli e sensibili, senza ipocrisie, guardando negli occhi un tonno che muore, uno stambecco ucciso, conciando una pelle, vivendo la natura, vivendo il mare, la montagna, il torrente, il bosco…

Anche il ruolo dell’uomo come predatore animale tra gli animali può e deve essere considerato naturale! Purché, rispettando le leggi di Natura, non si ecceda mai nel prelievo, si eviti lo spreco e l’abuso, si limiti la tortura e la sofferenza delle nostre prede. Pescatore e amante della natura non è un ossimoro; pescatore e animalista non è necessariamente una contraddizione!

Forse paradossalmente  la mattanza, così come la pesca vissuta in prima persona, insegna ad amare i tonni, a sentirci un po’ in colpa quando apriamo una scatoletta o ordiniamo una tartare, ed al tempo stesso a sentirci grati nei confronti del mare e del creato.

Invece le confezioni del supermercato non ci pongono domande, quel cibo arriva da Marte o semplicemente dalla “grande distribuzione”, che poi è la stessa cosa, ma si finisce per non farci caso, non far più caso all’origine, all’impatto, alla qualità, al dolore inflitto, al gusto, alla sostenibilità, alla prossimità, al valore reale… si fa caso solo al marketing, al contenuto calorico, alla pubblicità ed al prezzo.

Mi sporcherei volentieri le mani con il sangue degli animali  da me uccisi per sfamarmi e vestirmi, in cambio avrei una coscienza candida, consapevole di aver speso una vita sostenibile nell’ecosistema del pianeta.

Al contrario abbiamo tutti le mani candide, con cui ci serviamo a piacimento di animali confezionati, ma abbiamo le coscienze luride come petrolio e ci sosteniamo divorando l’ambiente intorno a noi.

 

 


ALCUNI ARTICOLI INTERESSANTI:  http://palermo.repubblica.it/mattanza – http://www.corriere.it/favignana-torna-vivere-tonnarama – http://www.lifegate.it/persone/stile-di-vita/tonnara-di-favignana-riapre-sostenibile – http://www.greenpeace.it/tonnointrappola – Report. L’ultima mattanza. –  http://www.tuttogreen.it/tonno-in-scatola-fa-male/ – iVegan  -tonni in estinzione, il futuro in una scatoletta – http://www.egadivacanze.it/favignana/il-museo-ex-stabilimento-florio.html – http://www.blueplanetheart.it/2015/10/06/il-tonno-che-si-mangia-in-italia-viene-dallestero – http://www.lescienze.it/il_destino_del_tonno_rosso_in_italia – 2008 – Addio amico tonno – biologiamarina.eu – Una fuga d’amore e di morte – Ed. Pubblicitàitalia

8 Comments

  • Edoardo ha detto:

    Condivido al 100% i valori, i sentimenti, le preoccupazioni che emergono da questo articolo.
    Da inguaribile ottimista credo che qualcosa si muova nella pancia e nella testa di (aimé) pochi; credo altresì che, nel rispetto della Democrazia, a volte ‘pochi’ poassano essere precursori di molti.
    …sperém

    • pietro invernizzi ha detto:

      Grazie mille Edoardo! Anche io sono ottimista… Almeno a giorni alterni 🙂
      Il mare, la natura in genere, ha dimostrato mille volte che le basta poco per rigenerarsi, riprendersi… Però ci si deve fermare almeno un po’ prima di aver azzerato le possibilità. Sperem 😉 A presto

    • Cristina ha detto:

      Anch’io sono conquistata dalla saggezza in cui Pietro ci parla di una possibile riapertura e Nuova mattanza dei tonni a Favignana. Personalmente non potrei mai uccidere animali specialmente così grandi e sanguigni ma ciò non toglie che il tonno mi piace specialmente in scatola. Penso e spero da ciò che si intravvede nell’aria web ed in alcune pratiche sulla pesca sostenibile che si stanno mettendo un atto, che si possa applicare davvero una pesca consapevole, rispettosa anche della morte, di qualunque morte si tratti, non vedo come il sangue e la cattura dei tonni con quegli occhi così grandi che ti guardano mentre sono squartati, possa essere uno spettacolo. Debord scriveva nel 1967 ” La società dello spettacolo” dove preannunciava che tutto si sarebbe tradotto in spettacolo ma ne è passata acqua sotto i ponti e siamo pieni di ogni sorta di spettacolo. Piuttosto allertiamoci per le multinazionali della pesca che fanno razzia anche dei fondali marini, pesca pirata nel Mediterraneo. Potremmo protestare fare qualche cosa. I Giapponesi il tonno per il sushi potrebbero farlo anche in altro modo, tanto non si distinguono gli elementi nella cucina orientale. Inoltre amo il pesce e i frutti di mare anzi sono una divoratrice ma amo anche il mare e le sue creature, quindi scelgo la pesca tradizionale, in cui qualche tonno si può salvare, un modo leale di pescare, Questo sarebbe da insegnare la lealtà al mare e ai pesci, nel nostro caso al tonno, lealtà che è una virtù in disuso. Mentre la mattanza come attrazione turistica, la trovo oscena e obsoleta, vediamo tutti i giorni trasmissioni e film pieni di sangue. Possiamo cambiare modello per favore” sangue arena” vi sembra ancora che debba vivere seduto su se stesso sino a quando? Adesso fanno anche le rappresentazioni dei martiri dei santi, Tutto ciò, non valorizza per me ma perde valore tutto questo inscenare non ha oltretutto nulla a che vedere con il teatro della vita negli anfiteatri dionisiaci in Greci. Qui si inscenano confezioni.

  • mario narducci ha detto:

    Come non essere d’accordo con l’appassionata esposizione di Pietro! Anche la pesca professionale non va demonizzata ma regolamentata. Un uso consapevole, giudizioso e misurato delle risorse naturali non le compromette ma ne consente un uso corretto.
    Il problema della tonnara di Favignana non può essere isolato dal contesto generale in cui si colloca e ancora una volta il punto di partenza non può che essere in qualche modo “educativo” ossia basato in primo luogo sulla conoscenza reale di fatti, così da poter poi dare giudizi che tengano conto di quanti più fattori siano in gioco e suggerire possibili cambi di comportamento.
    E’ più facile dire di no e sentirsi a posto con la propria coscienza che interrogarsi su cosa ci sia da migliorare in quello che si fa di persona. La suggestione sull’industrializzazione della pesca al tonno che Pietro espone apre scenari si cui riflettere.

    • pietro invernizzi ha detto:

      Ciao Mario! Grazie infinite per il tuo commento, è sempre un grande piacere leggerti! A prestissimo!

  • Curzio ha detto:

    Vorrei fare un paio d’appunti sul suo articolo, per altro molto interessante.
    In primo luogo l’affermazione “le navi Giapponesi svuotano il mare” non e’ vera. I Giapponesi sono fra i primi sottoscrittori del patto Iccat ed assegnatari di una quota di prelievo come tutte le altre marinerie coinvolte. Negli anni passati l’Italia, precedentemente all’adozione del Blu Box e degli ispettori a bordo, e’ stata denunciata per eccesso di pesca dal Paese Del Sol Levante, in contraddizione a quanto dichiarato dagli organi competenti.
    Inoltre il tonno rosso, che ha un altissimo valore commerciale da fresco in Giappone, finisce in scatola solamente in maniera molto marginale. Solo pochi piccoli produttori di nicchia, come a Carloforte, si possono permettere l’utilizzo di una materia prima cosi cara.

    • pietro invernizzi ha detto:

      Buongiorno Curzio, grazie mille per il commento molto interessante! In effetti devo ammettere il mio errore sulle navi giapponesi, nel senso che la mia affermazione si basa su un “sentito dire” così ripetuto e ribadito che l’ho preso per vero, senza un opportuno approfondimento. Negli occhi ho le immagini delle loro super-navi, della mattanza dei delfini, e ho letto articoli su quanto siano attivi con pesca intensiva su tutto il globo… Ma in effetti non sono documentato se “svuotano il mare” o al contrario sono rispettosi di quote e regole… Grazie per lo spunto!
      Per quanto riguarda tonno rosso / inscatolamento, apprezzo la precisazione, tuttavia nell’articolo volevo parlare della pesca al tonno in generale, non solo quella al blue fin o al grande rosso; l’inscatolamento e quasi sempre sinonimo di pesca industriale… Sono partito dal particolare dei primi inscatolamenti di tonno rosso per arrivare a riflettere in generale sull’over-fishing di tutte le specie, il depauperamento dei mari e le nostre abitudini di consumo sregolate ed eccessive… Grazie ancora del commento molto costruttivo, speriamo di leggerti e di essere letti ancora! A presto

  • Simone Ardigò ha detto:

    Caro Pietro non ti avevo ancora risposto….lo faccio ora: hai fatto un’analisi perfetta che é una lezione ambientale di grande valore.
    Io stesso ho paura spesso di essere in contraddizione quando “sono a pesca” se penso a questa “nuovo” trend ecologico dell’era Slow Food.
    L’ipocrisia che c’è dietro il dito di chi disprezza “chi ammazza e si nutre degli animali” mi rattrista.
    Non conosco abbastanza bene la materia dei tonni e anche la storia del tuo articolo ma sono anni che mi sono auto coinvolto negli argomenti di gestione dei torrenti alpini (di una specifica zona però) e sorrido di fronte all’inciviltà e alla perdita di ogni riferimento culturale che legano tra di loro acqua, montagna e pesci.
    Sono argomenti x i più borderline perché fanno poco odiens, sono meno commerciali e ambientalmente complicati da far capire alla gente che non li riconosce.
    Ad ogni modo, pensandoci, penso anch’io che i grossi danni sono fatti dalle pesche specializzate offshore mentre una gestione controllata e tradizionale (quella di Favignana appunto se ripresa con nuove regole) possa essere anche un fatto accettabile ed un buon compromesso anche a livello ambientale visto che per controllare i pescatori si controllerebbe anche l’ambiente….una cosa certa é che dove non ci sono i pescatori vuol dire che le acque sono abbandonate a se stesse….questo é un dato di fatto!!!!

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