Il pescatore di tempo

Copertina Il pescatore di tempoUn libro. Ancora. Non è che non stiamo pescando (o forse si?). Ma teniamo così tanto che le vostre ferie siano organizzate in ogni minimo dettaglio che vogliamo darvi una marea di consigli per le vostre letture da ombrellone-villa-baita-cascinale, per farvi scegliere da un ricco menù. Oggi le parole che riportiamo sono quelle di una nostra vecchia conoscenza: Michele Marziani. Il pescatore di tempo è la sua ultima fatica che, come sempre, vale la pena assaporare. Liberamente tratto da Il pescatore di tempo di Michele Marziani ed Ediciclo.

È quello il luogo dove impara che la pesca non è solo libertà. È uguaglianza: lungo i torrenti anche gli operai sono guardati con rispetto e ammirazione quando catturano le trote più belle. Il commendatore, l’ingegnere, l’avvocato, il marchese, smettono il lei, ti permettono il tu, implorano, se occorre, il consiglio, l’indicazione giusta. Chi cattura il pesce più grosso diventa l’eroe, non importa se con i denti da aggiustare o con la macchina scassata. Non valgono i titoli, gli studi che hai fatto, non contano il censo, il conto in banca e neppure se ti mancano due dita. Devi solo saperci fare. Non è un caso che in tutto il mondo siano stati gli zingari a inventare la tecnica di pesca dei signori, quella dei lord inglesi, il fly fishing, la pesca con la mosca artificiale. Altro che nobili origini nell’imitare insetti per catturare pesci. Vecchi nomadi cenciosi che costruiscono simulacri di mosche finte con il pelo di coniglio e le fanno scorrere attaccate a un filo lungo la corrente del fiume. La lenza è un intreccio di crine di cavallo, quello che traina le case su ruote fino all’avverto dell’automobile e della roulotte. Il pesce si lascia ingolosire, sale in superficie, mangia l’insetto fasullo e rimane attaccato al ferro, all’amo celato al suo interno. Lo zingaro ride mentre tira il pesce in superficie. E i figli dai denti scheggiati e la canottiera logora sanno che quello del padre è un gesto epico. Le braci preannunciano il buon cibo.
Perché i pesci, non tutti, ma tanti, sono buoni, leccornie da mangiare, da abbrustolire, arrostire, bollire, affumicare, sfilettare e condire con poco limone…

[…] È lei la regina. Quello scompiglio per l’occhio è meraviglia. Nessun pesce come la trota sa appagare il piacere pirotecnico della vista: la cacciata violenta, la salita a nutrirsi sulle schiuse di insetti a primavera, il salto ripetuto, continuo, identico al salmone, degli esemplari che a settembre sentono la spinta a risalire. Per l’amore, per la riproduzione. Sotto certe cascate a fondo valle è un quadro di pesci di ogni età che rispondono all’istinto, incuranti di quanto certi ostacoli dell’uomo siano impossibili, o forse solo molto difficili, da sormontare. Sotto il ponte di Romagnano Sesia, quella della strada che conduce a Gattinara, una sera di settembre se ne contavano a decine. Di ogni taglia, di ogni età. Tutte a tentare inutilmente di risalire il Sesia, là dove l’uomo ha posto una barriera. Quest’ammassarsi disperato, questo non arrendere l’istinto di fronte all’evidenza, insegna la forza del desiderio. Non sembri riduttivo, ma è la stessa potenza di chi migra dai paesi peggiori del mondo. Poco gli importa delle nostre barriere. Il destino di tutti, uomini e pesci, è risalire il fiume della vita. Questo si impara, da pescatori.

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