Le esche di Roar le abbiamo provate in lungo e in largo negli ultimi giorni, in un fantastico viaggio di pesca al luccio in Danimarca firmato Catch Outdoor di cui leggerete nei prossimi articoli. Ce ne siamo innamorati! Spesso in cassetta abbiamo mille esche ed è dura scegliere, a volte si preferisce usare solo le “certezze”, le esche che già conosciamo e che ci hanno dato buoni risultati in passato, oppure si è preda dello sconforto e si cambia esca in modo ossessivo compulsivo ogni due lanci… senza avere davvero il tempo di capire e testare l’artificiale appena innescato. A noi è successo che al primo lancio del primo giorno di pesca con un Twin Tail da 7″ abbiamo preso un bel luccio! Quindi è stato più facile dare fiducia alla gomma di Roar e la fiducia è stata ripagata…
Questa intervista è leggermente diversa dalle altre della “stanza dell’autocostruzione“, è lunga, ma vi consigliamo di leggerla a fondo, soprattutto perché indaga più da vicino le esche siliconiche autocostruite, per capire insieme che quest’ultime non sono affatto tutte uguali! Idrodinamica delle forme e mescola della gomma possono portare a risultati molto diversi, così come pesi ed armatura… Questi artificiali sono delle perle tra le “gomme”, nuoto stupefacente anche a velocità ridotte, azioni di profondità ma anche di superficie con esche di peso. Colorazioni eccentriche e naturali chiudono il cerchio di tutto ciò che un pescatore vuole.
Non ci resta che presentarvi l’amico Max, la mente, il braccio, il creatore di Roar!
Ciao a tutti. Mi chiamo Max, anche se molti mi identificano con il nome delle mie esche, le Roar baits. Ho 38 anni e abito da un po’ di tempo tra i selvaggi bricchi dell’Alta Langa, Sud Piemonte al confine con l’Appennino savonese. Terra di vini, nocciole, formaggi, tartufi. Un po’ meno terra di lucci, per cui sono un devoto praticante di Santa Autostrada (…e Santo Aeroporto).
Da quanto peschi?
Pesco – o quantomeno desidero farlo – da quando avevo 5 anni. Ciò che tutt’oggi mi affascina è che l’amore per le acque e per i pesci è stato in me qualcosa di veramente innato. Non avevo nonni, zii, cugini o papà che praticassero la pesca; nessuno da imitare, emulare, ammirare e – quel che è peggio – nessuno da cui farsi accompagnare a pesca. Allora non c’erano Internet, forum, tutorial a facilitarti la vita.
Per cui ho trascorso la mia infanzia potendo contare su poche, pochissime occasioni per dare sfogo a quel desiderio così forte, da molti ritenuto anzi eccessivo. Fortunatamente passavo buona parte delle vacanze estive in un paesino di montagna nelle valli pinerolesi. Lì mia mamma riteneva che non ci fossero rischi nel lasciarmi andare in giro da solo, per cui mi consentiva di passare un po’ di tempo sul torrente. Non credo capisse bene il motivo di tanto zelo, anche perché non prendevo nulla, ma veramente nulla, e così fu per anni. La cosa non bastò a scoraggiarmi. Non che non mi importasse prendere pesce, tutt’altro! Sognavo ogni giorno che fosse la volta buona.
Ma d’altra parte funziona proprio così: prendere un pesce piace a chiunque. Pescare piace solo ai pescatori.
Chiaramente le cose sono cambiate quando, crescendo, ho guadagnato autonomia e sono entrato in contatto con altri pescatori, dalla cui esperienza ho iniziato ad attingere a piene mani. Dopo un breve periodo trascorso senza praticare una tecnica in particolare, sono arrivato finalmente alla pesca con esche artificiali, al catch & realease… e lì son rimasto.
Quando hai iniziato a costruire? Ti ricordi la tua prima creazione?
Ricordo benissimo, anche perché non è passato così tanto tempo.
Era l’inverno di 3 anni fa. Mi ero appena trasferito in Langa. Periodo freddo, poca pesca, un po’ di tempo a disposizione. Iniziai a sgrossare delle sagome in abete, quel che avevo in casa. Volevo provare a farmi dei jerk, una delle tipologie di esche che più utilizzavo ed utilizzo tuttora in pesca. Grazie anche alle indicazioni attinte dalle ormai ricchissime risorse a disposizione sul web, quei primi esemplari non vennero neanche male. Non solo ne conservo le foto: vengono tutt’oggi in pesca con me. Hanno ormai un certo numero di strati di epox, ma continuano a funzionare.
Appena terminata la prima, imprecisa resinatura, mandai le foto dei jerk a un po’ di amici. Quella sera nacque il nome Roar baits. Naturalmente non potevo minimamente immaginare gli sviluppi che tutto ciò avrebbe avuto. Pensavo che avrei costruito un paio di cose e, con un po’ di fortuna, ci avrei un giorno preso un pesce. Quindi attribuire un “brand“”a quei due legnetti fu un semplice gioco.
In seguito, quando iniziavo a capire che forse avrei costruito qualcosa di più che un paio di esche… decisi che non avevo motivo di cambiare quel nome, nato per scherzo.
Perchè ROAR baits? E’ il ruggito immaginario di un luccio?
“Roar” funziona per più motivi, secondo me. Rende bene l’idea di energia che contraddistingue il moderno pike fishing. Tutto è “ruggente”, nella pesca al luccio che mi piace. Attrezzature, esche, approcci, recuperi, mangiate, combattimenti.
Roar è il grido che ti esplode da dentro quando un bel pesce entra nel guadino, quando capisci di aver fatto quel che in un istante sa ripagarti delle fatiche di innumerevoli cappotti. Non a caso #dilloconunROAR è uno degli hashtag a cui sono più affezionato.
Last but not least, “Roar” trasuda quel nonsoché di demenziale, di unserious, di goliardico e auto-ironico che è proprio di un certo modo di vivere la pesca, specie nel condividerla con gli amici più stretti. Guardacaso le prime due esche che ho costruito erano un jerk leopardato, e un glider tipo manta in versione chiquita. E se il buon giorno si vede dal mattino…
Perché hai iniziato ad autocostruire?
Ma è chiaro, per risparmiare soldi! …figuriamoci, non ho creduto neanche per un secondo di poter spendere meno! Da quando ho iniziato a costruire ho viceversa speso parecchio in materiali e attrezzature dedicate, e non ho smesso minimamente di acquistare esche altrui, anche e soprattutto artigianali.
Scherzi a parte, la pesca a spinning a mio avviso ha un grande limite, rispetto alla pesca a mosca.
Il moschista, salvo rare eccezioni, costruisce i propri artificiali.
Nello spinning ancora in pochi lo fanno. Devi proprio essere un costruttore, uno che fa un’attività altra, seppur complementare, rispetto alla pratica della pesca.
Ma costruire i propri artificiali è qualcosa di strettamente correlato con il loro utilizzo in pesca. Da quando ho iniziato ad usare sistematicamente le mie esche ho iniziato ad osservare cose che prima mi sfuggivano. Progettare la forma, la proporzione tra i pesi, l’armatura di un’esca di qualunque materiale mi ha portato a cogliere aspetti e differenze nel suo movimento che prima non notavo. E di conseguenza a variegare e raffinare anche il tipo di recuperi e l’intera azione di pesca.
Un altro elemento che è stato ed è fondamentale come motivazione non tanto per iniziare, quanto per continuare a costruire, è stata la possibilità di collaborare con i ragazzi di Blackbay lodge, in Irlanda. Sono stato loro cliente ed amico da ben prima di iniziare a costruire. Da loro ho imparato buona parte di quel che so, e loro sono stati tra i primi a credere nelle mie esche, che fin dalla tenera età hanno così potuto farsi dilaniare con sistematicità in terra irlandese.
È evidente che mandare delle esche ai ragazzi, guide di pesca in Irlanda, per vedere se prendono i lucci è un po’ come mettere la mano nell’acqua per vedere se si bagna (della serie “ti piace vincere facile, eh?”) Ma il loro contributo è stato ed è tuttora fondamentale soprattutto perché la loro esperienza e la possibilità di avere feedback numerosi e costanti sulla funzionalità delle esche mi hanno consentito di sviluppare modelli sempre più efficaci e, come si dice… bucativi!
Quando peschi che tecniche pratichi, dove e rivolte a che pesce?
Come è facile immaginare, da cinque o sei anni a questa parte pratico per la gran parte del tempo la pesca al luccio. Pesco per lo più a casting, ma ultimamente porto sempre più spesso in barca anche una 9 piedi coda 10 (absolute beginner!)
Ogni tanto, specie durante la stagione più calda, quando per ovvi motivi lascio in pace gli esocidi, torno a dilettarmi con le trote, principalmente in montagna, sia a spinning sia a mosca.
Qual’è il tuo più grande vizio?
Entro in laboratorio perché ho un’oretta di tempo e decido di dedicarla a mettere in ordine.
Dopo 3 ore sono ancora lì, ho sgrossato 2 jerk, 1 crank, un diver, finito il master per due nuovi stampi, disegnato 15 ipotetici nuovi shad, colato un Levix di quel colore che mi mancava.
Il laboratorio lo metto in ordine domani.
Qual’è il materiale che ami di più? E quale tecnica di costruzione?
Lavorare il legno mi piace molto. Il mio principale problema è che sono lento, incredibilmente lento. Credevo che con il passare del tempo e l’esperienza mi sarei velocizzato, ma non è stato così, anzi. Quindi mi ci dedico volentieri solo se posso fare le cose con tutta la calma del mondo.
Diciamo che ho iniziato dal legno e in particolare dal jerk perché era ciò che più amavo usare.
Il silicone è venuto in un secondo tempo, come naturale conseguenza di un maggiore utilizzo in pesca di quest’altra tipologie di esche.
In realtà nel produrre rubber baits, il grosso del lavoro lo si fa ben prima di arrivare al plastisol.
La parte più importante del lavoro, quantomento per la tipologia di esche che faccio io, sta nell’ideazione, nella progettazione e nella realizzazione del master di cui fare lo stampo. E di cosa è fatto il master…? Ma di legno, ovviamente!
Lavorare la gomma sembra essere più facile che lavorare il legno… è vero? Quali sono le principali insidie e complicazioni?
Sagomare un pezzo di samba cercando di prevedere come si comporterà una volta “trasformato” in gomma non è semplicissimo, anche se ovviamente un po’ di pratica ed esperienza aiutano a immaginare assetto, movimento e vibrazioni che potrà emettere il prodotto finale. Certo, per arrivare al master e quindi allo stampo giusto, il più delle volte ci vuole tempo. E degli stampi che sono finiti dritti nel cestino ho ormai perso il conto. Poi qualche rara volta, vuoi perchè si tratta di una tipologia di esca più semplice, vuoi perché sei stato particolarmente fortunato, ti capita di fare one shot, one goal… ma è cosa rara.
Dopodichè è chiaro che nel momento in cui sei giunto ad avere lo stampo definitivo, e hai capito quale tipo di mescola sia più adatta all’esca, la procedura di lavorazione è più semplice rispetto ad un’esca in legno. Ma, in sintesi, la fase di colatura è solo la punta dell’iceberg, nella costruzione di un artificiale in gomma.
Nel corso degli anni produttori e tecnologie hanno migliorato molto le nostre attrezzature da pesca, per te qual è stata la novità più utile e rilevante?
Direi senza dubbio l’introduzione del trecciato, del quale – nella pesca al luccio in particolare – non si può proprio fare a meno.
Qual è l’elemento che conta di più nel successo di un artificiale? Colore e realismo, equilibrio dei pesi e vibrazioni, forma e sua idrodinamica? E quali in particolare su esche siliconiche?
In base alla mia esperienza nella pesca al luccio tutti questi elementi hanno una loro rilevanza in misura diversa, proporzionalmente alla tipologia di esca. Praticamente impossibile sintetizzare in un ragionamento generale le variabili che entrano in gioco.
Sicuramente se mi dicessero “scegli un colore” oppure “scegli una tipologia di esca” non avrei dubbi sul preferire la seconda opzione. Nel senso che se devo affrontare un determinato spot, con determinate caratteristiche e in determinate condizioni atmosferiche, la prima cosa che mi chiedo è se puntare sulle vibrazioni di un crank, sull’erraticità di un glider, sulla sinuosità di una codona in gomma… e solo in seconda battuta seleziono un colore.
Ma fortunatamente uno degli aspetti che preferisco del moderno pike fishing è proprio l’avere a disposizione una scelta ampia, che ti consenta in ogni situazione di provare soluzioni molto diverse.
Ci descrivi i principali processi/fasi della costruzione di un tuo artificiale siliconico?
Parto sempre dal disegno, a volte ispirato ad una creatura da imitare, altre volte più di fantasia. Quando mi convince traccio i contorni sul legno e inizio a tagliare, raspare, scartavetrare, finché non ottengo una sagoma precisa, pulita e ben levigata.
Se sono convinto del risultato, progetto la realizzazione dello stampo, che faccio con silicone RTV a vulcanizzazione rapida. E’ la fase più importante e delicata di tutto il processo, perché dalla precisione e dalla funzionalità dello stampo dipenderà poi la possibilità di riprodurre esche ben rifinite, senza fare troppi errori. Una volta stabilito se lo stampo debba essere mono o bivalva, semplice o composito (cioè un primo stampo che vada ad inglobare in colata una parte già solidificata in un secondo stampo), posiziono il master e in uno o più passaggi colo il materiale che va a modellarsi secondo le forme di partenza.
Una volta ottenuto lo stampo lavoro con contenitori tipo Pyrex e forno a microonde. Metto in una ciotola una certa quantità di plastica liquida e la faccio scaldare con gradualità mescolando di tanto in tanto. Il colore viene aggiunto prima o dopo il riscaldamento a seconda della tipologia e dell’effetto translucido od opaco che si vuole ottenere. Quando la plastica è della consistenza giusta aggiungo eventuali glitter e colo nello stampo precedentemente „imburrato“ con uno speciale lubrificante/distaccante e nel quale, se necessario, ho inserito l’armatura/piombatura interna. Procedo analogamente con gli eventuali altri colori, badando di non far raffreddare troppo tra una colata e l’altra, pena un facile distaccamento dei due strati.
Quando il tutto è sufficientemente solidificato, tolgo dallo stampo e lascio cadere in una bacinella piena d’acqua fredda, che accelererà il raffreddamento completo dell’artificiale senza condizionarne la forma.
Quanto tempo dedichi all’autocostruzione & Quanto alla pesca?
Dipende un po’ dalle stagioni e dalla quantità di tempo libero, ma in linea generale cerco di fare in modo che il tempo dedicato alla pesca non sia mai inferiore a quello dedicato alla costruzione.
Se le mie esche catturano pesci è solo grazie al fatto che chi le costruisce è prima di tutto un pescatore attivo.
Cos’è per te la pesca & Cosa significa per te costruire esche?
La pesca è un modo impareggiabile per vivere la natura, conoscerla, osservarla, cercare di comprenderla sempre più. Ho sempre la sensazione che mi pulisca la mente, perché mentre pesco non penso a niente che non sia ciò che sto facendo.
Costruire le esche mi consente di rendere più profonda e completa questa esperienza.
Quando pesco con le mie esche io, il pescatore, non sono più solo da un capo della lenza. Anche attaccato al moschettone c’è qualcosa di me, una mia idea, un mio ragionamento, una mia creazione.
Qual’è la tua marca di esche artificiali presente sul mercato preferita?
Difficile sceglierne una. Sono sempre stato un amante delle esche americane da musky, per cui di marche come Suick, Musky Mania, Musky innovations sono un fedele cliente.
In Europa la CWC-Strike pro sta producendo cose egregie. Pochi artificiali, ma estremamente riusciti, dall’intramontabile buster jerk ai più recenti pig shad.
Qual’è il tuo sogno di costruttore di esche?
Non ho un obiettivo preciso. Vorrei semplicemente continuare a divertirmi, a catturare e far catturare a sempre più persone dei bei pesci con le mie creazioni. Credo di essere solo all’inizio dell’avventura e so per certo di avere ancora moltissimo da imparare e da scoprire. Ma dove concretamente questo porterà, non so prevederlo.
Se potessi scegliere un altro costruttore a cui affiancarti, presente o passato, il più bravo, chi sarebbe?
Be’, se scelgo il più bravo non è certo per affiancarmici, quanto per avere un punto di riferimento…!
Amo particolarmente i grandi costruttori svedesi. Tra tutti direi Wolfcreek e Svartzonker (mi riferisco alle loro creazioni artigianali, ovviamente), che hanno negli ultimi anni affiancato agli storici jerkbait in legno la produzione di artificiali in silicone.
Quali sono, nell’ordine, i primi materiali e attrezzi che consigli a chi vuole iniziare ad autocostruire? E con quale imitazione partire?
Ha senso iniziare a costruire artificiali per la pesca che si pratica e si conosce. Se domani mi mettessi a costruire una stickbait da tonno senza aver mai pescato neanche uno sgombro… per la carità, magari mi verrebbe anche… ma che senso avrebbe?
Ho iniziato a costruire i jerk perché ci pescavo da tempo e con regolarità.
Certo, forse sconsiglierei di partire da una swimbait in tre sezioni, perché è tecnicamente molto complessa, ma sceglierei comunque un tipo di artificiale che uso abitualmente e che mi piace usare.
Ha senso costruire direttamente esche siliconiche o è meglio partire da balsa o legno?
Perché no? Ci sono molte persone che pescano per l’80% il luccio a gomma, non vedo perché dovrebbero iniziare da un jerk piuttosto che da un minnow. Costruire un’esca in gomma, così come una in legno, è alla portata di tutti. Chiaro, non ci si deve aspettare di fare centro al primo colpo, e solo chi saprà dedicarsi con creatività, determinazione, pazienza (un pizzico di talento non guasta) arriverà a costruire artificiali veramente efficaci e catturanti. Ma questo vale per molte altre cose, nella vita, no?
Che consigli daresti a chi si avvicina all’autocostruzione?
Ovviamente consiglio di farlo, senza paura. Possibilmente procedendo con gradualità, cercando di resistere alla tentazione di abbozzare mille idee contemporaneamente (senti da che pulpito!).
E poi, una volta verificato che l’esca si muova come previsto (o anche meglio, perché no?) è importante crederci e usarla con convinzione. Ho visto diverse persone scoraggiarsi troppo velocemente rispetto alle proprie creazioni, sostituendole dopo pochi lanci con un più rassicurante artificiale di quelli già collaudati.
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Grande Max, ottimo pescatore e grandissimo costruttore!